Il ruolo del fedele laico
Promossa dalla Pontificia università della Santa Croce una due giorni di approfondimento sul ruolo e sulla vocazione dei laici oggi
«Trascorsi cinquant’anni dall’avvio del Concilio Vaticano II è urgente riprendere alcuni tra gli argomenti che hanno ricevuto uno slancio più forte da parte dell’assise conciliare: come il ruolo dei laici, fedeli impegnati nelle realtà secolari, chiamati alla santità come ogni battezzato, e partecipi in prima persona della missione della Chiesa per vivificare il mondo». Con queste parole gli organizzatori del convegno “Il fedele laico: realtà e prospettive” introducono la due giorni promossa dalla Facoltà di Diritto canonico della Pontificia università della Santa Croce, dall’8 al 9 aprile, a Roma. Un tema impegnativo, al quale hanno dato il proprio contributo rappresentanti del mondo ecclesiastico e dei movimenti laicali e alcuni laici impegnati in politica.
«Per loro vocazione – ricorda Giacomo Canobbio, docente della Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale citando l’enciclica Lumen Gentium – è proprio dei laici cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio». Per riflettere sulla vocazione e sulla missione dei laici, aggiunge, è naturale partire dagli sviluppi portati, in questo ambito, dal Concilio Vaticano II.
Rispetto al passato, afferma Guzmàn Carriquiry, sottosegretario del Pontificio consiglio per i laici, c’è stato un lento, ma inarrestabile processo di cambiamento che oggi fa «considerare definitivamente superata quella condizione tradizionale di certa minorità con cui si tendeva a considerare i fedeli laici». C’è dunque una nuova visione del ruolo e dell’identità del laico e l’apporto dei movimenti viene considerato provvidenziale. «Il frutto più maturo, più prezioso – conclude Carriquiry – è quello della gestazione di nuove generazioni di uomini e donne che riscoprono la gratitudine, la gioia, la verità e la bellezza di essere cristiani, che ne rendono ovunque testimonianza e che comunicano con convinzione e persuasione le ragioni del dono ricevuto e offerto a tutti».
Purtroppo, non sempre la società favorisce lo sviluppo di queste realtà. Siamo «in presenza – afferma il professor Sergio Belardinelli dell’Università di Bologna – di un coacervo di luci e ombre di un mondo (quello moderno) che nasce cristiano, si sviluppa come cristiano per un certo periodo, finché, anche per colpa dei cristiani, si estranea da queste sue radici, al punto che oggi solo riconciliandosi con esse riesce a salvare il molto di buono che esso stesso ha costruito».
A questo punto, dunque, diventa fondamentale la testimonianza dei singoli. Alba Sgariglia, responsabile delle attività culturali del Movimento dei focolari, presenta l’esperienza dei coloro che seguono il carisma dell’unità di Chiara Lubich, che – spiega – «indica una via percorribile, privilegiando alcuni contenuti e particolari metodi» come la scoperta di “Dio-Amore”. Gesù diventa modello di vita che porta ad un modo nuovo di rapportarsi con l’altro. Fondamentale, aggiunge Sgariglia, la Parola del Vangelo vissuta e comunicata agli altri, che contribuisce ad edificare una comunità viva.
È un cammino di singoli che vivono in una profonda comunione di vita e di pensiero. Fondamentale è anche il dialogo con persone di diverse chiese e comunità cristiane, di diverse religioni, che non si riconoscono in un credo religioso, e che porta ad «un “annuncio rispettoso” del messaggio evangelico, nella consapevole certezza che tutti gli uomini, proprio perché figli di un unico Padre, sono condotti a realizzare l’unità a Lui chiesta da Gesù. Con questa testimonianza comunitaria del Vangelo che rende la fede storicamente visibile, collaborano al maturare di una cultura capace di entrare in dialogo e di valorizzare tutto ciò che l’ha preceduta e, al tempo stesso, di far intravedere nuovi orizzonti per il pensiero umano. È quella “cultura della Risurrezione” – così definita da Chiara Lubich – che scaturisce dalla presenza del Risorto tenuto vivo fra noi».