Il rugby in carrozzina

Sta prendendo sempre più piede, anche nel nostro Paese, il wheelchair rugby. È in corso la terza edizione del Campionato italiano

Chi non conosce il rugby, sport dove lo scontro fisico è normale e necessario, come lo spirito di squadra, la disciplina e la lealtà? Un gioco da duri, nel corpo ma soprattutto nei valori, deciso e senza remore, nel pieno rispetto della persona, come testimonia quel “terzo tempo” peculiare dove le squadre, dopo essersi affrontate, si ritrovano insieme per bere, mangiare e curarsi. Ma chi conosce il wheelchair rugby, nobile disciplina giocata in carrozzina, che anche in Italia finalmente sta trovando diffusione?

Il wheelchair rugby ha per la verità una lunga storia lunga alle spalle, essendo stato ideato in Canada alle fine degli anni ’70 come alternativa alla pallacanestro in carrozzina, per coinvolgere ad esempio persone affette da tetraplegia. A metà anni ’90, la disciplina venne ufficialmente riconosciuta a livello internazionale e nel 2000, 4 anni dopo l’esordio alle Olimpiadi di Atlanta come sport dimostrativo, ha debuttato ai Giochi Paralimpici di Sydney. Oggi è praticato in 28 Paesi da più di 3 mila atleti. Essendo nato dal basket, ne ha mutuato diverse regole, a partire dal campo, con l’obiettivo di fare il maggior numero di mete: si gioca 4 contro 4, maschi e femmine insieme, in 4 tempi da 8 minuti, con punteggi diversi in base alla disabilità. Ovviamente, le carrozzine sono particolari: più incavate, con dispositivi antiribaltamento e placche metalliche a proteggere le ruote, con differenze in base ai ruoli, dato che quelle da difesa sono dotate di un rostro anteriore per agganciare/bloccare quelle d’attacco, le quali, invece, presentano una specie di paraurti arrotondato, dovendo fare fronte a contatti, spintoni e cadute. Nonostante siano blindate e pesantissime, è comune che qualcosa si rompa: le parti di ricambio sono disponibili subito a bordo campo, dove, oltre all’allenatore, un meccanico è sempre pronto a intervenire.

«È uno sport molto fisico e d’impatto, spettacolare da vedere e capace di regalare grandi emozioni», ha confermato in più occasioni Roberto Convito, allenatore in seconda di una Nazionale italiana ancora giovane, che nell’ottobre 2018 ha partecipato ai campionati europei svoltisi in Finlandia, ma che lo scorso settembre ha centrato un secondo posto al Trofeo Internazionale di Quad Rugby di Barcellona. Lo scorso maggio, a Cassina de’ Pecchi, nel milanese, è partita intanto la terza edizione del campionato italiano, con 6 squadre al via, a testimonianza di un movimento crescente nel nostro Paese: i bi-campioni d’Italia del Padova Rugby, i Mastini Cangrandi Verona, la Polisportiva Milanese, l’H81 4 Cats Vicenza, l’Ares Centurioni Wheelchair Rugby di Roma e i Romanes Wheelchair Rugby, il primo club della Capitale, nato nel 2011 per promuovere il rugby in carrozzina.

Qui la vittoria può arrivare anche in caso di sconfitta, quando si riesce a restituire la gioia di vivere e divertirsi a chi può soffrire la reclusione delle mura domestiche a causa della disabilità. «È un’opportunità per quei giovani che pensano che la loro vita sia praticamente finita: è molto difficile convincerli a uscire da casa e farli salire su una carrozzina da gioco, perché pensano di essere fragili e non adatti allo sport, specie a uno molto fisico come il rugby; in realtà, poi, quando provano, non vorrebbero più uscire dal campo», ha affermato Convito. D’altra parte, nel rugby c’è un ruolo per ciascuno e non esistono individualità: a vincere è solo il collettivo. La palla, ovale o no che sia, passa alle istituzioni, per arrivare a mete nuove, insieme.

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