Il ritorno

Un padre torna a casa dopo oltre dieci anni di assenza e parte con i due figli per uno strano e misterioso viaggio che li condurrà su un’isola deserta nel profondo nord della Russia. Su questa esile trama si regge questa straordinaria opera prima del regista russo Andrej Zvjaguntsev che, a sorpresa, si è aggiudicata (meritatamente) il Leone d’oro all’ultima Mostra di Venezia. Un film intenso, ricercato, denso di suggestioni visive ed emotive alle quali presto lo spettatore decide di abbandonarsi, rinunciando a capire i tanti perché che il regista lascia volutamente senza risposta: cosa ha tenuto il padre per così tanto tempo lontano da casa, il motivo del suo ritorno, il movente del viaggio, l’oggetto dell’affannosa ricerca sull’isola. In questa cornice di mistero si svolge la storia dei tre. Il padre è autoritario e collerico, il figlio più grande sinceramente affascinato dalla misteriosa figura paterna, il più piccolo diffidente e ostile all’estremo. Man mano che questa sorta di viaggio iniziatico procede, le dinamiche psicologiche del terzetto, ottimamente tratteggiate dal regista, si vanno cristallizzando in un gioco crudele, insensato e a volte violento, attraverso il quale si fa sempre più intensa la sensazione di catastrofe incombente. La mancanza di spiegazioni consente al regista di concentrare la macchina da presa sui tre (bravissimi) protagonisti, emarginando tutto il resto sullo sfondo e allo stesso modo assolve chi vi scrive nel trovare in un film del genere un significato razionale o una chiave di interpretazione univoca. C’è chi vi ha visto una metafora della Russia di oggi, chi una meditazione sulla condizione umana, chi una riflessione addirittura mitologica sulla paternità. Il fatto è che ci troviamo nel territorio della poesia (anche se l’aggettivo “poetico” per un film non va più tanto di moda) e di conseguenza alle prese con quell’impulso irrazionale che ci fa dire bello anche di ciò che non riusciamo ad afferrare completamente, sia esso un fluire di parole, un dialogo sussurrato in una tenda sotto un diluvio sferzante o un altrimenti banale volo di gabbiani all’orizzonte. Andrej Zvjaguntsev è stato bravo nell’evitare le insidie del manierismo, le più comuni e letali nei film “poetici”, e a regalarci questo piccolo gioiello di puro cinema. Lo aspettiamo con ansia alla sua prossima prova. Regia di Andrej Zvjaguntsev; con Vladimir Garin, Ivan Dobronravov, Konstantin Lavronenko. Cristiano Casagni

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