Il ritorno di Mannarino

Il cantautore romano torna sui mercati con un nuovo disco e un acclamato tour estivo: un altro passo verso la consacrazione tra i grandi del nuovo cantautorato italiano
Alessandro Mannarino foto di Gabriella Bergna.jpg

Per molti è il Tom Waits italiano, per qualcuno solo una versione meno colta e più borgatara di Vinicio Capossela. Comunque sia, Alessandro Mannarino, classe 1979, è uno dei grandi protagonisti dell’estate musicale in corso.

Il suo è un curriculum già consistente: tre album all’attivo, i prestigiosi premi Gaber e Siae in bacheca, perfino una tournée negli States coi Subsonica e i Negrita; è chiaro che questo suo terzo lavoro, intitolato Al monte, uscito a fine maggio, ma ancora vendutissimo (almeno rispetto a gran parte della concorrenza), ha le carte in regola per consentirgli di passare dalle nicchie agli altari del cantautorato nostrano. Il suo stile non ha perso la verve degli esordi e certe nuance da stornellatore d’altri tempi, ma nella sostanza oggi il Nostro assembla solide canzoni riconducibili al folk-pop d’autore di più alto profilo: un po’ caposselliane, un po’ fossatiane in certi soffusi intimismi, vagamente carosonesche negli episodi più ruspanti

Più preciso nella scrittura poetica, più profondo nello scandagliare i sentimenti, il lupo Mannarino s’aggira in queste notti d’estate affamato di sogni più che di battaglie (nonostante una piccola rissa balzata alle cronache settimana fa). Piace e convince sul palco, ma sempre più spesso le sue canzoni sanno anche conquistarsi un posto al sole delle playlist: perché il suo è sì uno stile che profuma d’antico, ma proposto con piglio indubbiamente moderno.

Un album di canti, incanti e disincanti: “Al monte ci vanno santi e briganti, i rivoluzionari e gli asceti  – ha affermato presentandolo alla stampa –. È un luogo sicuro perché libero da recinti e barriere, da costruzioni e campi ordinati, e di notte ci si può nascondere da ciò che non è umano”. Se paragonate alle canzoni del suo primo album, Bar della rabbia, uscito nel 2009, queste nuove sono assai meno goliardiche, più sobrie, riflessive, profonde; prova tangibile di una maturità raggiunta sottraendo coriandoli e aggiungendo spessore e peso specifico, sia nei versi che nel sound, sia nelle tematiche affrontate che nel modo di affrontarle. Storie d’oppressi ed oppressori dove gli estremi talvolta si confondono, dove le speranze e le inquietudini molto spesso si rincorrono.

Mannarino, insomma, ce l’ha fatta. Anche se la strada è ancora lunga e lastricata d’insidie, oggi ben più di ieri: ché il successo è una brutta bestia, più difficile da domare che da agguantare…

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