Il ritorno di Foco
L’andatura era lenta, come il passo di un tempo, fine anni Settanta, quando camminava con il bastone sul prato dell’allora Centro Mariapoli. Incontrandoci, si fermava a parlare con noi ventenni e poi si congedava con quel suo originale Ciao, Chiara. Non potendo ricordare tutti i nostri nomi, li accomunava sotto il profilo della Lubich, madre spirituale. Adesso Igino Giordani, per noi semplicemente Foco, tornava a casa, in un caldo pomeriggio di fine ottobre. Un applauso festoso e un po’ commosso l’ha fasciato appena oltre il cancello della sede centrale del movimento. Certo, era dentro una bara, dopo la riesumazione dal cimitero di Rocca di Papa, ma la scena non aveva nulla di funereo. Sembrava piuttosto di vedere una carrozza, su cui lui sedeva, con quel suo tratto signorile e arguto di chi la sa lunga sulla vita e, ora, anche sulla morte. E sembrava salutare tutti, volgendosi ora a destra ora a sinistra, tra quelle due ali di folla, senza fretta, quasi a significare: non ti avevo dimenticato. La messa: il miglior modo per dargli il bentornato. Tanta festa per un morto. Ma il bello era che Foco era più vivo che mai. Adesso lo salutavamo come servo di Dio in quella stessa grande sala in cui lo avevamo sentito parlare più volte. Ripeteva a noi giovani, per ricordarci la perenne freschezza del Vangelo, che Chiara aveva scritto all’inizio degli statuti dei Focolari: È proibito invecchiare. E lui, effervescente ottuagenario, ce ne dava la misura. Devo dire grazie a Giordani per averci fatto diventare amici, aveva esordito nell’omelia il vescovo di Frascati, mons. Matarrese. Non l’ho conosciuto, ma lo seguirò e spero che quanto prima la sua vita venga presentata a tutti e che tanti cristiani possano seguire il suo cammino. Uno dei quattro figli di Giordani, Sergio, ha rievocato un tratto di Foco, attingendo ad un volumetto appena terminato. Una cosa che noi fratelli Giordani non riuscivamo a comprendere di nostro padre era la totale fedeltà al magistero della chiesa. Di lui ammiravamo l’indipendenza, il coraggio nel portare avanti le battaglie di libertà, quel suo essere controcorrente, le battute pungenti, l’anticonformismo. Ma se la chiesa lo riprendeva, Igino era pronto a obbedire senza discussioni o tentennamenti. Certamente non per paura, perché niente lo intimidiva. Basta ricordare i suoi scritti contro il fascismo e Mussolini a proposito del delitto Matteotti. Poi, la confiden- giovaza si era fatta più profonda, sfociando in un’invocazione. Caro papà, sei stato chiarissimo con la parola e con l’azione. Noi figli ti abbiamo compreso in parte. L’altra parte, quella più intima, almeno per quanto mi riguarda, l’ho scoperta più tardi ed è dura fatica sintonizzarmi con essa. Così come avevi capito il mio animo di fanciullo, dammi, dacci una mano ora nella parte ultima e più difficile della nostra vita. Ora Foco riposa – si dovrebbe dire – nella cappella della sede internazionale. Ma non starà certo lì buono e fermo. Si adopererà più che mai per sostenere i suoi discepoli impegnati sui mille fronti della sua vocazione, dall’ecumenismo alla politica, dalla famiglia al giornalismo. Adesso sarà possibile incontrarlo e far calcolo della sua intercessione. La grande lastra di marmo di Tivoli, dove nacque, posta in verticale a coprire il sepolcro è appoggiata volutamente in maniera asimmetrica. Quasi che dal lato sinistro sia stato lasciato un pertugio. Non è detto che Foco non ne approfitti. Magari per entrare ed uscire, e riprendere a passeggiare tra gli affanni della città dell’uomo ora che è cittadino di quella di Dio.