Il ritorno dell’umano

Quale caratteristica ci distingue dalle macchine, per quanto intelligenti possano essere?
Robot all'Istituto italiano di tecnologia di Genova (LaPresse/Fabio Palli)

Qualche giorno fa, in metro ho visto tre ragazze intente a leggere un libro. Di carta. Invece di tenere gli occhi incollati al cellulare, per rispondere al bip bip petulante e superficiale del telefonino, erano immerse nella lettura. Forse di una storia coinvolgente. Mi è sembrato un bel segno di “ritorno all’umano”. Leggere un libro di carta significa infatti “perdere tempo”, pensare, riflettere, immaginare: tutte attività tipiche degli esseri umani (ne abbiamo parlato su Città Nuova n. 5/2019). Anche a scuola, dopo l’accelerata tecnologica di questi ultimi anni, si cerca ora un migliore equilibrio fra tecnologia, metodo di studio e rapporto tra insegnante e studenti. Per esempio, si è capito che si impara di più studiando su libri di carta. Piccoli indizi di una riflessione in corso.

IA
«È importante che i giovani siano coinvolti nella progettazione dell’Intelligenza artificiale (IA). Devono portare nuove voci, nuove idee per creare una società migliore». Lo dice una tecnologa indiana di 32 anni, Kriti Sharma, che cerca di porre le basi per una IA etica, cioè orientata al bene, al sociale. Può sembrare illusione, eppure è diventata famosa, ha vinto premi e stanno nascendo progetti basati sulle sue idee. Perché è così importante quello che dice?

I sistemi di IA stanno entrando nel mondo del lavoro, sostituendo le attività di operai e impiegati. Possono essere usati per prevedere e manipolare le nostre scelte politiche, i nostri acquisti, i nostri desideri e le nostre paure. Questi programmi (algoritmi), integrati nei servizi pubblici, decidono al nostro posto in tanti campi: sanità (quale diagnosi per i sintomi di un malato), giustizia (quanti anni di pena per un condannato), finanza (concedere o no un mutuo), lavoro (assumere o no un candidato). Agiscono in autonomia, ma spesso non si sa bene come funzionano: infatti “imparano” da soli (deep learning), sulla base dei dati (parziali) forniti dai progettisti, mentre i loro codici sono tenuti segreti dalle aziende private che li producono. Può un servizio pubblico decidere sulla vita delle persone in base a un sistema di IA di cui non conosce il funzionamento? È possibile rinunciare al controllo pubblico di decisioni così importanti? No. Infatti qualcuno sta pensando a come usare l’IA per creare una società migliore. Non solo Kriti e i giovani come lei.

La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, esamina l’invenzione “Parli robot?”, presso l’IA Xperience Center, a Bruxelles.
La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, esamina l’invenzione “Parli robot?”, presso l’IA Xperience Center, a Bruxelles.

Etica degli algoritmi
Si sono mosse le grandi istituzioni internazionali, come Onu e Unione europea. Su sollecitazione di papa Francesco, la Pontificia Accademia della Vita ha proposto le linee guida di un’etica per lo sviluppo e l’utilizzo delle nuove tecnologie di IA, coinvolgendo istituzioni pubbliche, Ong, industrie, gruppi, privati e mass media. Nel dossier Governance, allegato a questo numero, Fadi Chehadé, già presidente di Icann (l’organo di controllo di Internet), propone un “giuramento tecnocratico”, che permetta di incorporare “valori” in ogni fase di costruzione del mondo digitale. Sono segnali di una crescente presa di coscienza del fatto che «la “galassia digitale”, e in particolare la cosiddetta “intelligenza artificiale”, si trova al cuore del cambiamento d’epoca che stiamo attraversando. Tocca tutti gli aspetti della vita, sia personali che sociali. Incide sul nostro modo di comprendere il mondo e anche noi stessi» (papa Francesco alla Pontificia Accademia della vita).

Unicità umana
Ecco allora il tema cruciale: cosa ci caratterizza come umani? Qual è il nostro valore aggiunto, che ci differenzia sia dalle altre forme animali, sia dai robot e dalle macchine intelligenti? Scrive Luciano Floridi (Pensare l’infosfera, Cortina, 2020): «C’è una specificità dell’essere umano, un tratto che segnala la sua unicità: il fatto di dare significato e senso alle cose, alla realtà che ci circonda e ci riguarda, così come a noi stessi. […] Le nostre menti non potrebbero sopportare il vuoto di un mondo e di un’esistenza privi di significato e senso, senza cui non ci sarebbero identità personali né relazioni sociali».

Comunità umana
Scrive Alan Turing, il genio dei computer morto nel 1954: «L’uomo isolato non sviluppa alcuna competenza intellettuale. È necessario che sia immerso in un ambiente di altri uomini, le cui tecniche assorbe durante i primi 20 anni della sua vita. […] La ricerca di nuove tecniche deve essere considerata come effettuata dalla comunità umana nel suo insieme, più che da individui». Commentano Julian Nida-Rumelin e Nathalie Weidenfeld (Umanesimo digitale – Franco Angeli 2019): «Turing mette l’accento sulla prassi comunitaria della ragione umana, ossia sull’intesa reciproca mediante il dare e chiedere ragioni. È questa prassi che non è possibile algoritmizzare e che rappresenta un confine definitivo posto alle macchine».

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