Il ritorno del tragico in Occidente

La guerra in Ucraina ha trovato la cultura occidentale impreparata e smarrita. L’importanza di un testo che raccoglie le riflessioni di diverse figure di rilievo dell’Europa dell’Est
Parata militare a Mosca EPA/MAXIM SHIPENKOV

Mentre in Italia, salve poche note di alcuni giornalisti o interviste a qualche intellettuale, è quasi pressoché assente il dibattito sulla portata della guerra in Ucraina per le sorti dei nostri valori e non solo, negli altri Paesi europei, a partire in particolar modo da quelli più vicini al conflitto, è in corso un articolato dibattito imperniato su un tema cruciale che ha trovato un significativo sbocco prima in un convegno a Parigi e poi in un volume dal titolo Le retour du tragique? a cura di Joanna Nowicki, Chantal Delsol e Jean-Jacques Wunenburger (Paris, Éditions du Cerf 2024): sino a che punto noi europei dell’Ovest, che abbiamo vissuto “settantanni di abbondanza, di pace e di libertà” con l’alimentare delle “nuove utopie” dalla fine della storia alla democrazia per tutti, stiamo avvertendo “il ritorno della coscienza del tragico” con l’essere  stati ”svegliati brutalmente” da  un evento che sta ridefinendo le relazioni  tra Est ed Ovest.

E non è un caso se a tale dibattito abbiano contribuito in particolar modo figure impegnate in vari campi e con diverse impostazioni culturali; quasi tutte provengono dai paesi dell’Est e più di altre si sono confrontate “con la non-scomparsa del tragico” per aver vissuto l’esperienza del totalitarismo “nella vera vita ben lontano dalle utopie occidentali”, come scrive Chantal Delsol, sino a qualche decennio fa e senza farsi troppe illusioni di un possibile ritorno sia pure sotto altre forme.

L’intero volume dà voce al fatto che nell’intera Europa è stato avvertito pienamente sul piano esistenziale ed insieme cognitivo il peso del “ritorno del tragico nella storia dell’Occidente, dove si è imposto con forza”, col portare tali figure a interrogarsi sul “rapporto dell’Occidente col tragico”; ne è scaturito un percorso dove è ritenuto giustamente necessario «riflettere sulle parole che abbiamo a disposizione per definire il contemporaneo» e coglierne l’intrinseca complessità per i particolari aspetti che lo caratterizzano e che «sembrano non avere dei precedenti nella storia».

Per questo è stato necessario arricchirne il vocabolario con dei termini come “postmodernità o antropocene”; ed in tale contesto si è dell’avviso di dare al tragico e ad altri termini come ‘barbaro’, ‘selvaggio’, ‘drammatico’, ‘diabolico’, ‘distopico’ e ‘disastro’ un significato “polifonico”, liberarli da interpretazioni riduttive, come suggerisce Jean-Jacques Wunenburger, noto studioso di Gaston Bachelard, in quanto possono fungere da ostacoli epistemologici per la comprensione del presente.

Ed il tutto è finalizzato a non fare entrare il tragico “nell’oblio da parte degli Occidentali” per ritornare a fare debitamente i conti con esso per la presenza di una guerra nel cuore dell’Europa, come affermano gli altri curatori.

Per tali motivazioni, sia per rendere i nostri percorsi più intelligibili e sia per non cadere «nella disperazione e non avere davanti al senso della storia un sentimento di sconfitta» e di impotenza, il volume, diviso in quattro parti, passa in rassegna in primis le diverse interpretazioni del tragico date in Occidente a partire dal mondo greco-latino, dove era presente per Stéphane Ratti una “coscienza onnipresente”, sino a portare alla successiva ”costituzione di una letteratura cristiana tragica nel IV secolo”.

Jean-Jacques Wunenburger ci offre una chiara e articolata “storia escatologica” assunta dall’idea di tragico di “fronte al male radicale” e se abbia “senso e/o non senso”, col passare in rassegna alcuni momenti del pensiero filosofico da Hegel ad Hannah Arendt con l’obiettivo primario di «mantenere sveglio un pensiero critico che possa favorire un nuovo inizio, ma carico di tutte le lezioni di tutte le culture passate»; a sua volta Chantal Delsol giustamente insiste non tanto sul tragico in sé in quanto è stato una costante della storia umana, ma sul “ritorno brutale della coscienza del tragico” dopo che una certa modernità di impronta cartesiana e avvolta da un eccessivo ottimismo razionalista, così come l’ha descritta Stephen Toulmin in Cosmopolis , ha fatto di tutto per abolirla e per esorcizzarla.

E quando ritorna come un peso macigno nella postmodernità, porta comunque con sé un dono razionale o ‘rimedio razionale’, a dirla con Hélène Metzger, quello di far mettere da parte sia “l’utopia della felicità che il pensiero apocalittico”; ed in tal modo la coscienza del tragico viene a far parte integrante di noi stessi e diventa  una “categoria umana”, un “cammino stretto” in quanto aiuta a prendere atto della nostra “polarità umana” e della sua complessità presa tra i due fuochi del bene e del male, e dare così più “senso alla nostra esistenza”.

Nella seconda parte del volume si prendono in considerazione le interpretazioni del tragico date da due figure del pensiero polacco del ‘900, quella del più noto Leszek Kolakowski da parte di Jan Tokarski che ne analizza la visione del male visto come un fatto stabile e strutturale.

Ed il tutto viene visto alla luce del metodo messo in atto ed imperniato sui «limiti della razionalità e della sua epistemologia profondamente scettica, ma aperta alle questioni metafisiche» col prendere in esame l’importante opera Orrore metafisico del 1999.

Ed interrogarsi sul male per Kolakowski è importante per “comprendere il carattere unico dell’Europa”, il suo essere “un territorio spirituale” dove, più che altrove, si mette in opera «l’auto-interrogazione, una tendenza alla propria messa in discussione con lo sviluppo dello scetticismo».

A sua volta Lech Witkowski, alla luce dei suoi diversi lavori prima di natura epistemologica su Federigo Enriques, Ferdinand Gonseth e Gaston Bachelard e poi di quelli dedicati alle scienze umane dalla psicologia alla pedagogia col prevenire al mondo della complessità, prende in considerazione il pensiero di Barbara Skarga, nata a Varsavia e definita “la prima dama nella filosofia polacca” del ‘900, le cui opere sono quasi tutte apparse in francese; vittima dello stalinismo per essere stata nel gulag, se ne ha una diretta testimonianza nelle sue memorie Après la libération (1944-1956), poi ripubblicate nel 2000 col titolo Une absurde cruauté. Témoignage d’une femme au Goulag.

Tornata in Polonia come prigioniera sovietica dopo la morte di Stalin col ricostruirsi «una vita da rifugiata che necessita di un radicamento ben razionalmente fondato con una apertura verso il futuro», per Witkowski Barbara Skarga ci ha dato «un’attitudine filosofica” profondamente marcata da diverse dimensioni del tragico e del male.

La più pregnante che “aggrava la tragedia umana” è ritenuta quella “degli immigrati e di rifugiati nel tempo della guerra” col trovarsi a “sopravvivere in uno spazio socialmente e culturalmente estraneo”.

E non a caso si prende in considerazione una significativa raccolta di scritti dal titolo Penser après le Goulag, uscito in Francia nel 2000, che si segnala per “la profondità della riflessione etica” sul tragico con evidenziarne alcune idee portanti come il fatto «di controllare spiritualmente le circostanze per non soccombere e di non diventarne in più vittima se si rinuncia a combattere», quasi sulla falsariga dell’esperienza del goulag che fece Pavel Florenskij, scienziato-filosofo che pure in quelle condizioni estreme non rinunciava alle sue ricerche col guardare al futuro nel dare ai figli e a noi preziosi consigli.

Witkowski, inoltre, vi evidenzia «il paradosso che genera la sofferenza che può legare la vittima al male che prova», ed il vedere anche il tragico “attraverso il prisma dell’ironia”; poi, grazie alla piena immersione nell’esperienza di vita e di pensiero di Barbara Skarga, ci offre degli strumenti, insieme cognitivi ed esistenziali, per affrontare il tragico nella concreta “condizione umana contraddistinta da sfide talmente complesse e paradossali, e assurde” da portare a diventare “vittima o complice” in mancanza di scelte.

Per questo è ritenuto fondamentale rendere tale condizione oggetto di una forte presa di coscienza, di “adottare un’attitudine più consona verso il tragico” e di rafforzare lo stesso “desiderio di combattere” in quanto, pur trovandoci in situazioni estreme, il tragico non ci esime dallo scegliere col farci acquistare dignità.

Il ritorno del tragico in Europa nelle altre due parti è oggetto di ulteriori analisi da parte di Jean-François Colosimo che, nel suo contributo dal titolo “La crudeltà nella crudeltà”, ci mette di fronte alla nostra “cecità come occidentali” in quanto ci stiamo limitando “a eludere la tragedia”, ad essere “stupefatti” dell’invasione dell’Ucraina con l’invocare «ogni sorta di ritorni sconcertanti al posto delle inesorabili continuità che si sarebbero tenute presentie con sottovalutare diversi fattori che vi hanno concorso.

A sua volta, lo scritto di Andrzej Leder ci offre un lucido spaccato sulle “straordinarie capacità” di noi umani di «negare il reale anche quando viene a darci fastidio» e a scombussolare il nostro fragile equilibrio senza, da parte degli occidentali, arrivare a fare i conti con i propri errori.

Czeslaw Porebski, nel riprendere alcuni “schemi” storici risalenti al dominio degli zar, illustra il “potenziale tragico degli anacronismi” presenti nella realtà russa postsovietica da non sottovalutare; si ha, infatti, a che fare con la struttura di un “Paese premoderno” che spiega l’origine dell’invasione ucraina nel cercare di “ritrovare la posizione di un impero”, imperium in statu renascendi con la sua idea di pace e di mondo.

Molto pertinente per le nostre sorti future e per la democrazia si rivela la quarta parte dedicata alle “trasformazioni dei fondamenti europei” da parte prima di Antoine Arjakovski che è dell’avviso che occorra “parlare dell’espansione attuale della Quarta Guerra mondiale” da cogliere “in una prospettiva metastorica” per evitare di invocare “un fatum che si sarebbe abbattuto sull’umanità”.

È ritenuto necessario un atteggiamento “neorealista” più in grado di “osservare i fatti” in modo netto per mettere in campo quella che chiama “metafisica ecumenica” di impronta personalista, ben enucleata nel lavoro del 2022 Essai de métaphysique oecuménique. Tale lavoro, che meriterebbe una adeguata attenzione per aver messo in campo quasi una prospettiva da pensiero complesso, insiste sul fatto che occorra a più livelli prendere coscienza della necessità di costruire una comunità mondiale ispirata a valori universali. Una simile visione del mondo, infatti, può costituire il perno di un percorso di “pensiero ternario, insieme polare ed escatologico”; e col mettere in campo “la logica della transdisciplinarietà”, è ispirata ai lavori di Romano Guardini e papa Francesco, ed è ritenuta in grado di “ripensare tutta la storia del pensiero” e di fornire gli strumenti di un “nuovo realismo etico”. Su queste basi si può “cambiare paradigma nel rappresentare la sovranità dello Stato” e dare avvio “ad una diplomazia etica” per riaffermare la sicurezza internazionale, ridare forza al diritto internazionale.

Joanna Nowicki, un’altra pensatrice polacca che vive in Francia dove insegna, insiste sul fatto che l’Occidente stia ritrovando il suo “volto grazie alla tragedia” dell’Ucraina, divenuta una “frontiera simbolica, etica, tra la civilizzazione e la barbarie”; ed il ritorno del tragico sta, infatti, facendo in Europa “risorgere il dibattito sulla coscienza, lo spirito, la civilizzazione o la cultura occidentale” e sui suoi “imperativi”,  come li chiamava Barbara Skarga, che sono “il rispetto della persona umana, la forza principale della cultura europea” e vera e propria ‘via dello spirito’ per l’attitudine critica che la contraddistingue.

L’ultimo contributo presente nel volume di Michel Maslowski esamina il ruolo delle diverse “culture nazionali nei confronti degli imperi”; e nel complesso, Le retour du tragique? va preso in seria considerazione critica per essere frutto della concreta esperienza di vita da parte di alcune personalità dei Paesi dell’Est, oltre ad essere una lucida analisi della drammatica situazione attuale che stiamo vivendo. E nello stesso tempo è un cogente invito ad interrogarci criticamente su noi stessi, sui nostri valori e sulle difese razionali che dobbiamo mettere in essere per non farci travolgere dagli eventi e creare le basi di una più solida visione del mondo di impronta cosmopolitica, da più parti auspicata.

Per tali motivazioni si auspica che venga tradotto al più presto in italiano con appropriati approfondimenti in diverse sedi per avviare un dibattito su «l’evento di verità», a dirla con Alain Badiou, che si sta dimostrando sempre più “il ritorno della coscienza del tragico”.

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