Il ritorno degli spazzini

La città della grande bellezza invasa dai rifiuti. Mentre le immagini del degrado di Roma fanno il giro del mondo, l’azienda municipalizzata annuncia l’invio di un esercito di spazzini nelle strade. Cade il tabù sulla parola «spazzino»
SPAZZINO

«È un mestiere nobile, il mestiere di spazzino. Consiste nel ripulire le case e le strade del sudicio che produciamo, nel rendere meno brutta e meno infetta la nostra esistenza. Stupidi e ingrati coloro che usano in senso dispregiativo la parola spazzino, che non capiscono quanto gli spazzini siano straordinari e preziosi: una città senza spazzini o con pochi e cattivi spazzini è un covo di veleno e di morte, una barbarie fisica e morale».

In barba alla campagna in atto contro la parola «spazzino», giudicata dispregiativa, Oriana Fallaci nel romanzo Insciallah (1990) la usa e la difende. D’altronde, la giornalista non sopportava le fatwa, figurarsi l’etichetta imposta dal politically correct

Strana storia quella della parola «spazzino». Attestata fin dal XVII secolo, sarebbe stata sostituita con l’eufemismo «operatore ecologico» sotto la spinta delle rivendicazioni sindacali degli anni Settanta. Leggiamo, infatti, in una cronaca del tempo: «I netturbini nel loro documento propongono di creare delle unità territoriali di otto persone collettivamente responsabili, cambiando la qualificazione in “operatore ecologico”» (Anche i netturbini protestano. «Chiediamo una riqualificazione», «La Stampa», 8 novembre 1978). Il linguista Tristano Belelli attribuisce invece il cambiamento al burocratese: «Non mi pare che nessuna organizzazione sindacale di spazzini […] protestasse. È la cecità burocratica che sostituisce parole che si credono poco onorevoli con altre considerate più nobili, mentre si complicano le cose allontanando sempre più i parlanti da quella semplicità che tanto gioverebbe alla diffusione della lingua» (Non più spazzini nel monnezzaro, «La Stampa», 9 febbraio 1990).

Comunque sia, il cambiamento non piacque. «Lo spazzino è diventato “operatore ecologico”, ma manovra sempre la stessa materia», commenta Enzo Biagi sul «Corriere della Sera» (4 giugno 1992). «Mi domando cos’è questa maledizione tutta italiana per cui un netturbino deve chiamarsi operatore ecologico», si chiede Luca Goldoni (Buon proseguimento, 1994). Cesare Marchi immagina i possibili effetti di questa riforma: «Lo spazzino diventò prima netturbino, e poi operatore ecologico, il che ci spiega perché le nostre città sono sporche. Alla domanda “Perché non pulite le strade?” l’altro ti può rispondere, risentito: “Pulirle è compito degli spazzini, io sono un operatore ecologico”» (Quando l’Italia ci fa arrabbiare, 1991).

 

Il grave degrado che sta affliggendo Roma, con i rifiuti che invadono perfino i salotti buoni del centro, fa della storiella di Marchi una vera profezia. La situazione è così grave da aver trovato eco nella stampa estera: Il sindaco è onesto, ma ciò basta ad arrestare il declino della Città Eterna?(«New York Times»); I rifiuti e l’incuria rovinano l’immagine di Roma («Le Monde»); Roma: dalla grande bellezza alla grande tristezza («Le Point»).

 

L’Ama, la municipalizzata romana dei rifiuti, è corsa ai ripari annunciando le misure che saranno adottate: «Entro il mese di settembre tutta una serie di siti molto frequentati dai cittadini dovranno essere presidiati da spazzini di quartiere con l’ausilio dei classici “carrettini”». «Riteniamo necessario che negli orari diurni centinaia di spazzini assicurino la pulizia permanente dei luoghi maggiormente interessati dall’abbandono a terra dei rifiuti», dichiara il presidente Ama Daniele Fortini. Insomma, presto torneranno in strada gli spazzini, non gli operatori ecologici: è la fine di un tabù. D’altronde, come scriveva Marchi: «pulire le strade è compito degli spazzini».

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