Il ritorno alla vita di Abdul
Ex campione di pallacanestro, finito dopo un periodo difficile in un centro di accoglienza per senzatetto, allenerà bambini disagiati della periferia romana.
A volte, proprio quando meno te lo aspetti, la vita può offrirti una seconda occasione. Anche quando tutto sembra ormai perduto, anche quando tutti sembrano essersi dimenticati di te.
Gary Cole (ora Abdul Jeelani dopo aver cambiato nome una volta diventato musulmano), è un ex-cestista statunitense che a cavallo tra la fine degli anni settanta ed i primi anni ottanta ha goduto di una certa notorietà nel mondo dello sport. In Italia ha giocato per sei stagioni (prima nella Lazio, dal 1977 al 1979, poi con la maglia del Livorno, dal 1981 al 1985), mettendo a segno più di 5.000 punti. Nel mezzo, un paio di campionati NBA (a Portland e a Dallas), prima di chiudere la carriera in Spagna. Col tempo, di lui si erano perse le tracce.
Qualche mese fa un signore milanese impiegato in una multinazionale statunitense che stava prestando qualche ora di volontariato in un centro per senzatetto a Racine, nel Wisconsin, lo incontra senza sapere di chi si tratta. Dopo aver scambiato due chiacchiere, quell’uomo sconosciuto alto più di due metri comincia a raccontargli la propria storia. Dapprima quella riguardante la parte più bella della sua vita, quando era un affermato giocatore di pallacanestro, quando tramite lo sport aveva avuto occasione di conoscere il mondo, di stare con altre persone. Poi, entrato più in confidenza con quel volontario italiano che gli prestava attenzione ed aveva portato alla luce ricordi di un tempo passato, sente però di confidargli anche altro.
Due matrimoni terminati con il divorzio, un lavoro andato perduto, tre operazioni per un tumore da cui adesso è guarito. E poi ancora la depressione, i problemi con l’affidamento dei figli, i debiti con il fisco che gli sono costati la casa ed il ritrovarsi per strada insieme ai barboni. Infine, il trasferimento in quella struttura di accoglienza per homeless avvenuto due anni prima e dal quale ormai non pensava più di poter uscire.
Gary Cole, o se preferite Abdul Jeelani, da quel centro di assistenza per senza tetto ci è invece uscito, e nello scorso fine settimana è atterrato a Roma. Dopo la chiacchierata con quel volontario italiano, infatti, si è messa in moto una catena di solidarietà che ha visto coinvolte più persone. Tra queste alcuni suoi ex compagni di squadra di Livorno, che attraverso una raccolta fondi gli hanno permesso di riavere il passaporto, e soprattutto l’attuale presidente della Lazio Basket, Simone Santi, che venuto a conoscenza della situazione di quel campione che tanti anni prima aveva indossato la casacca della Lazio insieme a suo padre si è attivato per offrirgli la possibilità di ricominciare.
<<Quando mi sono messo in contatto con lui – ricorda Santi – gli ho illustrato i tanti progetti sociali legati al basket giovanile in cui è coinvolta la nostra società sportiva (due centri per bambini disagiati in Mozambico e diversi altri aperti nella periferia romana dove oltre 600 ragazzini delle borgate possono giocare gratuitamente a pallacanestro insieme ai loro coetanei rom o extracomunitari). Alla fine gli ho proposto di lavorare per noi, di insegnare a questi ragazzi meno fortunati la bellezza dello sport, i fondamentali della pallacanestro, l’importanza dell’allenamento. E lui ha accettato con entusiasmo>>.
Ora, dopo aver preso un breve contatto con chi gli sta offrendo una possibilità di riscatto, Jeelani tornerà negli Stati Uniti per definire alcune pratiche sospese e fare poi ritorno a Roma a settembre quando per lui comincerà una nuova vita, quando tornerà a calpestare un campo di basket, quando potrà portare la sua esperienza (sia quella maturata sul campo da gioco ma anche, più in generale, quella imparata a proprie spese nella vita) proprio a chi ne ha più bisogno.
<<Nei momenti più difficili ho pregato spesso – ricorda oggi Abdul – la fede mi ha salvato. Sono davvero orgoglioso di far parte di questo progetto, della possibilità che mi viene data di aiutare gli altri, il modo più bello per ripagare chi ha aiutato me>>.