Il rischio Libano

Il Paese ha immediato bisogno di un governo di emergenza, che unisca tutte le forze del quadro politico nazionale. Non è possibile procrastinare ulteriormente le elezioni presidenziali e politiche. La forte presa di posizione della Chiesa maronita
Chiesa maronita libanese

In un contesto sempre più complesso e pericoloso, diviso tra l'asse siro-iraniano e l'Arabia Saudita, il Libano sta vivendo negli ultimi mesi una nuova fase ad alto rischio. Si è, infatti, ritrovato risucchiato dalla situazione siriana ed il suo territorio è alla convergenza delle alleanze regionali e internazionali, un luogo nel quale si gioca una parte determinante del futuro del Medio Oriente. Si rischia, nuovamente, di cadere in una guerra assurda, come molti pensano, combattuta da altri sul territorio dei cedri.

In questo contesto che da mesi lascia il Paese in uno stato di sospensione e timore spesso celato, ma tangibile dietro l’apparente tranquillità, interrotta da scoppi di bombe e vittime in diverse parti del paese, soprattutto nella capitale, assume una notevole importanza l’intervento pubblicato, nei giorni scorsi, della Chiesa maronita.

Si tratta di un documento di tredici pagine, diviso in quattro capitoli, che esprime la preoccupazione per il futuro del Libano, indicando quelle che possono essere le vie percorribili per giungere alla soluzione delle tensioni che rischiano di far precipitare il Paese in una nuova crisi senza fine. Si tratta di scongiurare le spinte centrifughe che minacciano la Terra dei Cedri.

Il documento è significativo perché pubblicato dalla Sede patriarcale di Bkerkè, al termine della riunione mensile dei vescovi maroniti presieduta dal Patriarca Bechara Butros Rai. Il primo capitolo ricorda il ruolo che la Chiesa maronita ha avuto nel processo di formazione dell’identità libanese e nella nascita dello Stato con la proclamazione dell'indipendenza nazionale. I vescovi si rivolgono, di fatto, alle componenti della società politica libanese, per sottolineare come ciascuna di esse sia stata un tassello del mosaico libanese. Sono proprio queste componenti "che […] hanno fatto il Libano insieme".

La proclamazione del Grande Libano porta la data del 1920, ma ancora oggi sono tutte le componenti "che ne debbono preservare insieme l'esistenza". Il Libano indipendente è stato fondato su un "Patto nazionale" orale (mithaq), che è il consenso, l'adesione a una "convivialità (islamo-cristiana) che gli è precedente". Il Patto di fondazione, prosegue il documento, si è incarnato in una formula (sigha) e in una Costituzione. La formula si esprime attraverso due negazioni: "né Oriente, né Occidente". Oggi è necessario recuperare "l'essenziale della formula", l'adesione a una vita insieme che è la rinuncia a legami esterni.

I processi che hanno portato i cristiani ai margini della vita socio-politica del Paese sono al centro del secondo capitolo, che evidenzia il progressivo alterarsi dei fragili equilibri istituzionali, che hanno regolato e dovrebbero continuare a gestire la rappresentanza delle varie comunità confessionali. I vescovi denunciano in modo forte ed inequivocabile una serie di piaghe che affliggono il Libano, in particolare corruzione e clientelismo.

Non si manca, inoltre, di far notare che proprietà immobiliari appartenenti ai cristiani siano state progressivamente acquistate  da gruppi finanziari con sede in altri Paesi del Medio Oriente. Il documento, fra l’altro, condanna l’esistenza, in un Paese che occupa un fazzoletto di terra, di eserciti privati e milizie armate legate a fazioni o partiti. Il riferimento evidente sembra essere indirizzato a Hezbollah.

Ancora, i vescovi hanno sottolineato che la contrapposizione tra i blocchi politici rischia di condurre alla paralisi istituzionale. E questo è un male che sembra condannare il Libano. Il Paese, in effetti, ha assoluto ed immediato bisogno di un governo di emergenza, che unisca tutte le forze del quadro politico nazionale. Non è possibile, dunque, procrastinare ulteriormente le elezioni presidenziali e politiche.

Il punto nevralgico della carta dei vescovi maroniti resta, comunque, il capitolo conclusivo, in cui si richiama tutti i leader cristiani e musulmani a condividere un rinnovato patto d'onore per resistere insieme al terrorismo, al contagio dei conflitti regionali e continuare a difendere insieme la stessa identità libanese, fondata sulla convivenza pacifica e collaborativa tra gruppi etnici e confessionali diversi.

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