Il riscatto di Van Gogh

A Genova ha raccolto grandi consensi, con quasi 350mila visitatori, la mostra Van Gogh e il viaggio di Gauguin
Van Gogh e il viaggio di Gauguin

Il 1° maggio ha chiuso con un traguardo di 346.025 visitatori la mostra “Van Gogh e il viaggio di Gauguin”; cifre astronomiche per questi tempi di crisi. Quali le cause del grande successo? Le code pazienti sotto il porticato di Palazzo Ducale a Genova sono frutto di un marketing ben calibrato? O è stata la miriade di eventi organizzati nei mesi che hanno preceduto l’inaugurazione a produrre questi risultati? O altro ancora?

«È stata una mostra importante per Genova – ha detto Luca Borzani, presidente della fondazione per la cultura Palazzo Ducale – colpita proprio nei giorni dell’inaugurazione dalla tragica alluvione. La città non voleva rimanere sommersa dalle acque e c’è riuscita, confermandosi luogo d’arte e di cultura».
 
È stata definita la mostra dei record, visitata negli ultimi 9 giorni da 42mila persone, tra le prime cinque al mondo, la più vista in Italia negli ultimi due mesi.
  
La mostra di Genova presentava una selezione accattivante: 40 opere di Van Gogh, una sola di Gauguin, ma anche Turner, Monet, Rothko, Kandinskji, Hopper…una raccolta irresistibile anche in tempi di crisi. Eppure al visitatore attento non sono certo sfuggite alcune criticità: due opere di Morandi all’interno della ricostruzione della stanza di Van Gogh ad Arles…eppure Giorgio Morandi non è stato sicuramente un viaggiatore… viaggio mentale? …è romantico pensare che nella “stanza” di Van Gogh, ovvero nella sua anima, fosse racchiuso il futuro dell’arte.

Altre scelte opinabili: l’accostamento sulla stessa parete di due tele di Turner e Rothko molto simili dal punto di vista cromatico e compositivo, ma disorientanti per la distanza culturale tra i due. Nella mente di Marco Goldin, il curatore della mostra, le opposizioni si giustificano: viaggio mentale o viaggio fisico non sono forse simili? Le suggestioni della mente viaggiano sullo stesso binario di quelle che comportano uno spostamento spazio-temporale. Si può rimanere turbati o anche disorientati… ma alla fine non ci resta che cedere di fronte al mistero di un’opera, come quella di Gauguin, che nell’impostazione iconografica ci riporta indietro nel tempo e che ha messo a fuoco le domande esistenziali importanti: “Chi siamo? Da dove veniamo? Dove andiamo?”.

 Al di là di valutazioni più o meno azzeccate resta un fatto: lo spessore umano di Van Gogh. Il decennio che va dal 1880 al 1890 è quello in cui l’artista realizza circa 500 opere e altrettante sono le lettere che scrive, in quello stesso periodo, al fratello Theo. Nella mostra era ben documentato il periodo “scuro” di quando si trovava nel Brabante, a contatto con i più poveri che egli avrebbe voluto sollevare dalla situazione di degrado in cui si trovavano, e anche quello di Arles, nel sud della Francia, in cui il colore trionfa e lo spessore pittorico si intensifica al punto da lasciarci senza fiato.

Tra le lettere inviate da Van Gogh a suo fratello Theo:
[Arles, agosto 1888] […] È una prospettiva molto triste quella di sapere che forse la pittura che faccio non avrà mai nessun valore. Se valesse ciò che costa, potrei anche dirmi: non mi sono mai occupato di denaro. Ma nelle circostanze attuali, al contrario lo si spende. E comunque in ogni modo occorre ancora continuare e cercare di far meglio. […]

Dall’ospedale psichiatrico scriveva:
[Saint-Rémy, 10.91889] […] E io prevedo già che il giorno in cui avrò un certo successo, comincerò a rimpiangere la mia solitudine e il mio accoramento di qui allorché guardo attraverso le sbarre di ferro della mia cella il falciatore nei campi ai miei piedi. La disgrazia serve a qualcosa. Per riuscire, per assicurarsi un successo che duri, bisogna avere un temperamento diverso dal mio, io non farò mai ciò che avrei potuto e dovuto volere e perseguire. Ma a me non è consentito vivere, soffrendo così spesso di vertigini, che in una posizione di quarto, quinto rango[…].

Una grandezza umana che non lascia indifferenti e che commuove. In una delle ultime sale dell’esposizione era possibile incontrare lo “sguardo” di Van Gogh in uno dei suoi celebri autoritratti. Una presenza viva, una verità ineludibile:
[Arles, 6.8.1888] […] Anche un bambino nella culla, se lo si osserva con calma, ha l’infinito negli occhi. Comunque non so niente, ma proprio questo senso di non sapere niente rende la vita che viviamo attualmente paragonabile a un semplice viaggio in ferrovia. Si va svelto, ma non si distingue nessun oggetto da molto vicino, e soprattutto non si vede la locomotiva. […]

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