Il Rinascimento a Roma

Michelangelo e Raffaello in una grandiosa rassegna a Palazzo Sciarra
sacra famiglia

Ci sono i ritratti di tutti e due, i grandi rivali: Michelangelo, ritratto dall’amico Sebastiano del Piombo, e lui, Raffaello, che si ritrae da giovane imberbe, con quell’aria un po’ malinconica e un po’ finta ingenua che lo rendeva simpatico, nascondendone l’ambizione. I due non si sono mai potuti vedere, in vita. Immaginarsi quando lavoravano vicinissimi, il toscano nella volta sistina e l’urbinate nelle Stanze di Giulio II, che li aveva messi insieme, fiutandone il genio e la rivalità.

Eppure entrambi hanno condizionato fortemente l’arte romana del loro tempo e quella successiva, fino a noi. Lo dimostra la rassegna, zeppa di quadri, sculture, argenterie, documenti.

 

Michelangelo si presenta con la scultura non finita del David-Apollo, immagine del tipo umano di giovinezza eterna che inventava e che ovviamente ha influenzato una schiera di artisti. Raffaello con il ritratto di Fedra Inghirami, umanista alla corte di Leone X e alcune madonne del suo ambito. Perché l’urbinate, creatore di immagini femminili tra le più vaghe, è l’inventore di un tipo di Madonna dall’enorme successo, come appunto dimostrano le opere di artisti come Perin del Vaga e Giulio Romano, suoi seguaci. Non basta. La tarda attività di Michelangelo, incentrata su Pietà e Crocifissioni, trova riscontro nelle copie tratte dai suoi disegni e in una novità: il restauro di una Pietà (ora a Buffalo negli Usa), che la critica tende a pensare come autografa. Vi è già il senso della pietas controriformistica in quei volti desolati e nell’eccesso sentimentale.

 

C’ è poi la figura di Sebastiano del Piombo, veneziano trapiantato nella capitale, in mostra con due ritratti di Clemente VII, papa sventurato ma grande amatore d’arte. Se il ritratto con la barba è denso di malinconia, quello glabro è un esempio luminoso di un’arte possente senza essere pesante, di un colore smagliante che crea un’immagine di grandezza.

 

Naturalmente non mancano esempi di arte classica, dalle copie del Laocoonte ad una Venere, dato che la classicità è un’inesauribile fonte di ispirazione per gli artisti dell’epoca. Come non poteva mancare il ritratto di Lutero che visitò Roma ai tempi di papa Giulio, senza nulla comprendere del Rinascimento, salvo poi inventarsi anni dopo la favola di esser rimasto negativamente impressionato dalla curia romana…

 

Passando alla quarta sezione della mostra, ecco la figura di Paolo III, per cui Michelangelo affrescò il Giudizio. Ne esiste una copia contemporanea di Marcello Venusti, importante perché mostra l’opera prima dell’intervento dei “braghettoni”, e già con l’aura riformista, dato che è sovrastata dal Venusti con l’immagine michelangiolesca del Creatore. Ed infine, nella vasta retrospettiva sulla Maniera a Roma, la folla dei cinquecentisti – dagli Zuccari a Muziano, da Marco Pino a Vasari – per parlare di forme d’arte che uniscono cristianesimo a classicità con chiari intenti declamatori. Vale la pena immergersi nei cinquant’anni che hanno segnato il centro di uno dei massimi momenti dell’arte europea.

 

Il Rinascimento a Roma nel segno di Michelangelo e Raffaello. Roma, Palazzo Sciarra. Fino al 12/2 (catalogo Electa).

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