Il ricordo e l’azione

In che modo l'eredità di Chiara viene trafficata da chi l'ha seguita? Esempi raccolti in viaggio.
Valparaiso

Moldova Recandomi da Chişinau verso la Transnistria – era il mese di ottobre 2009 –, ho avuto occasione di conversare con un’amica dei Focolari, Galina, assistente sociale. Mi ha incantato per la coscienza della gravità della situazione economica e sociale locale, ma anche della speranza che nasce dal desiderio di coesione del Paese. «Nel mio lavoro – mi aveva detto –, incontro un’infinità di situazioni drammatiche. Cerco di non giudicare nessuno, anche se forse ne avrei i motivi, perché mi sostiene il ricordo di Chiara che ci diceva di non notare quello che non va, ma di risvegliare nelle persone la creatività, la capacità di ribaltare situazioni difficili mettendo amore là dove non c’è. M’è capitato anche l’altro giorno: una donna non riusciva a capire come portare avanti i suoi due figli, abbandonata com’era dal marito e senza lavoro. Dandole coraggio, ha trovato lavoro e già in poche ore ha ripulito casa e ha rivestito i bambini».

Mons. Anton Cosa è il vescovo della Moldova: «Sono diventato sacerdote per l’Ideale dell’unità che avevo conosciuto. Quanto è venuto dopo è conseguenza di questo incontro. Avevo letto un testo di Chiara che spiegava come nel mondo ci siano ancora delle comunità che vivono come i primi cristiani. Ho cercato allora i focolarini e non li ho più lasciati. La condivisione con altri vescovi mi rende capace di sopportare il peso di questa diocesi. Ero un pretino quando sono arrivato qua, non avevo un soldo in banca, ma il Vangelo, la mia sola forza. Ora molte cose sono andate avanti, ma non dimentico mai l’ispirazione iniziale di Chiara».

 

Cile A Santiago a Capodanno 2009 ho incontrato una cinquantina di persone impegnate in diversi ambiti della vita sociale. Nella conversazione non facevano sconti, chiedevano risposte coerenti con l’ideale dell’unità. Ricordo Tomàs, medico nella marina a Valparaiso, che mi raccontava le sue imprese mediche e la gran voglia di portare anche tra i militari lo spirito dell’unità. E una coppia di professori universitari, lui politologo lei economista, che avevano una chiara visione della situazione socio-politica del Paese, e anche delle sue gravi mancanze. Il loro sforzo era duplice: da una parte «mettere in pratica quell’arte di amare che Chiara ci ha insegnato, con tutti, sempre, per primi, persino coi “nemici”». Dall’altra, «capire come quest’amore può trasformarsi in regole di convivenza, in misure politiche concrete in favore dei poveri del Nord, in regolamentazioni del panorama audiovisivo, in misure di assistenza pubbliche…».

 

Corea Il 31 dicembre 1981 Chiara mise piede a Seul. Oggi sono alcune migliaia le persone che l’hanno seguita in Corea. Nel gennaio 2010 ne conosco alcune. Così un bambino, Daniele, mi racconta con proprietà di linguaggio e con energia piccoli-grandi episodi in cui s’è impegnato ad amare i compagni di scuola, la sorellina, altri amichetti. Agha Jung, invece, è una giovane dinamica ma profonda, che si scontra col mondo del lavoro, la sua tentazione totalizzante, lo stress che esso provoca: evidenzia con ciò la laboriosità dei coreani, unita al desiderio di dare sempre e comunque un senso alla propria vita.

Commovente la testimonianza di Lucia, cattolica, che da sposata s’è trovata a convivere con una suocera buddhista ostile, perché non aveva saputo darle il tanto sospirato nipote maschio. Cerca tuttavia di darle non solo rispetto ma anche amore, soprattutto nel momento in cui l’anziana donna s’ammala. Finché anche la suocera le manifesta il suo affetto, prima di morire. Infine Francesco, 60 anni, da Daegu. Racconta della tradizione confuciana della sua famiglia, che l’aveva spinto ad assumere atteggiamenti autoritari, esigendo ordine assoluto e obbedienza, in particolare dalla moglie. Poi l’incontro col carisma dell’unità, la conversione, che lo porta non solo a svolgere lavori domestici, ma anche a considerare la moglie come il più grande dono ricevuto da Dio.

 

Terra Santa Nel maggio 2009 ho incontrato degli aderenti del movimento delle tre religioni del Libro. Una coppia di medici musulmani mi invita a visitare le famiglie della città «per capire quanto siano disperate le condizioni dei palestinesi. Ma l’insegnamento di Chiara ci ha convinti: anche nella notte più buia, possiamo compiere un gesto che unisce». E un ingegnere ebreo sulla sessantina: «Il messaggio di amore e unità ci trova consenzienti. Il dialogo che Chiara insegna non so se è possibile, ma in ogni caso è necessario; le incomprensioni sono umane, mentre il dialogo deve essere umano e divino». Infine il cristiano: «Noi palestinesi per certi aspetti siamo ingenui. Ma non possiamo arretrare, ne dobbiamo rispondere a Dio e agli uomini, ai palestinesi e agli israeliani. Dialogare non vuol dire mettere la testa sotto la sabbia. È guardare in faccia l’altro. Con ragione, fede e amore, come suggerisce Chiara».

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