#10YearsChallenge e il riconoscimento facciale

Una sfida virtuale che ha coinvolto migliaia di persone: un modo per raccogliere una mole enorme di dati utili ad addestrare un algoritmo verso la nuova frontiera del riconoscimento facciale. Attenzione ad aver cura dei nostri dati personali.      

Se siete iscritti su Facebook e Instagram avrete sicuramente visto i vostri amici impegnati in questi giorni nella #10YearsChallenge, una sfida virtuale che ha coinvolto migliaia di persone, tra cui anche moltissime celebrità e che ha un funzionamento molto semplice: gli utenti sono invitati a postare due immagini che li ritraggono, una accanto all’altra, per mostrare come sono adesso e come erano dieci anni fa. Nel giro di pochi giorni questa sfida è diventata virale e pochi si sono sottratti all’idea di mostrare la propria evoluzione nel tempo. Perché si sa, i social netwok pur non essendo nati con questo scopo si sono poi sviluppati intorno ad un’innata caratteristica dell’uomo: la curiosità verso i fatti degli altri. Aggiungiamoci poi l’“effetto nostalgia” che ci intenerisce e ci spinge, in qualche modo, a partecipare più volentieri a questo genere di sfide, e il gioco è fatto.

C’è chi però un po’ malignamente si spinge un po’ più in là e prova a chiedersi se questa nuova challenge non possa essere anche un modo per raccogliere una mole enorme di dati utili ad addestrare un algoritmo verso la nuova frontiera del riconoscimento facciale, l’ “age progression” e “age recognition”, che mira ad istruire le macchine a riconoscere come l’età segna e modifica i nostri volti, e a riconoscere l’età a partire dai visi. E per fare questo gli algoritmi hanno bisogno di tanti nuovi dati da elaborare, meglio se suddivisi per unità temporali.

Cosa è il riconoscimento facciale e quali app già lo permettono

Il riconoscimento facciale non è nient’altro che una tecnica di intelligenza artificiale a cui, a fari spenti, molti colossi dell’informazione stanno lavorando per sviluppare sistemi che in un futuro non troppo lontano verranno usati sui nostri telefoni per permetterci di sbloccarli in sicurezza, per migliorare le intelligenze artificiali applicate alle nuove fotocamere per permetterci di pagare usando solo il nostro volto, per permettere di riconoscerci all’interno di un negozio (e quindi essere al centro di un percorso studiato appositamente per noi), senza contare tutto il discorso di videosorveglianza.

Esistono già sui diversi app store diverse applicazioni che ci permettono di scoprire l’identità di una persona partendo da una foto, grazie alla tecnologia del riconoscimento facciale. Google ad esempio offre la possibilità di fare una ricerca specifica sui volti delle persone. Basta inserire il nome interessato su Google Immagini, cliccare sul tasto “Strumenti” a destra, poi “Tipo” e spuntare la voce “Volti”, oppure aggiungendo la stringa &imgtype=face nell’indirizzo del browser. In questo modo verranno mostrate tutte le foto associate al nome selezionato con tutte le informazioni legate.

Oppure, se Google si sembra troppo poco chic, si può utilizzare FindFace, un’applicazione capace di riconoscere il viso delle persone attraverso un software. Questa app è già stata utilizzata da 500.000 utenti per un totale di 3 milioni di ricerche. Le informazioni, in questo caso, vengono cercate all’interno del social russo Vkontakte.

Ovviamente non può mancare Facebook, che con il suo Facebook Moments, app nata per permettere la condivisione delle foto tra amici presenti allo stesso evento e che oggi raggruppa autonomamente le foto in base a dove sono state scattate e che permette di cercare un amico all’interno delle proprie foto.

Altre app del genere sono Deep Face, che è capace di riconoscere persone in pochissimi secondi con un’accuratezza del 97%, FaceTec, che è capace di riconoscere le differenze tra un’immagine e un volto reale, Name Tag che permette, avendo la foto di una persona, di venire a conoscenza di diversi dati presenti su Facebook. E poi FaceSearch, dove una galleria di immagini raccoglie volti e facce in base a tag inseriti, oppure Twins Or Not, un sito dove si ha la possibilità di confrontare due facce e vedere se si somigliano o no e calcolare il livello di somiglianza, PicTriv e Kuznech.

Una cosa va sottolineata: nessuno si può sentire esente da questa dinamica, anche chi sui Social non è iscritto e non ha intenzione di farlo, perché proprie foto possono essere state caricate da qualcun altro o possono essere già presenti per altri motivi su Google.

Probabilmente la #10YearsChallange è nata in maniera innocente, ma postando tutta questa mole di foto stiamo dando una grande mano agli algoritmi dell’intelligenza artificiale: cosa c’è di meglio, infatti, per chi lavora a questi sistemi, dei volti di migliaia di foto datate con lo stesso intervallo, con inquadrature ed espressioni del viso simili tra loro?

Sempre più, di fronte ai quiz e giochini che ci vengono proposti in maniera apparentemente innocente incomincia ad essere necessario valutare quale possa essere l’utilizzo che può essere fatto dei dati che diamo in pasto alle piattaforme e ai loro algoritmi, e quali potrebbero essere le potenziali implicazioni tecnologiche.

Non è necessario smettere di partecipare ad iniziative come #10YearsChallange, ma diventa sempre più importante ricordarci che i nostri dati sono il “petrolio” di questa epoca, un materiale prezioso con cui paghiamo, di fatto, i servizi online che utilizziamo, ed essere consapevoli di come queste informazioni vengono processate ed utilizzate.

Si possono allora accettare consapevolmente le conseguenze che possono derivare dalla diffusione delle nostre foto, e quindi condividerle. Oppure si può evitare preventivamente il non meglio precisato loro possibile utilizzo, e quindi decidere di non diffonderle. L’unica cosa da non fare è condividere senza farsi prima queste domande.

Questo perché i casi che hanno coinvolto Facebook lo scorso anno, come quello di Cambridge Analytica, ci ricordano che esistono casi in cui queste informazioni possono essere trafugate, rubate o cedute a terzi. E quindi che dobbiamo avere cura dei nostri dati con la stessa cautela che pretendiamo, giustamente, da chi li gestisce.

 

 

 

 

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