Il riarmo europeo alla prova dei numeri

È proprio vero che in guerra (e non solo) la prima a morire è la verità. La vicenda ucraina è esemplare in tal senso a partire da Putin che affermava che non l’avrebbe invasa, per poi attaccarla con l’”operazione militare speciale” per “denazificarla”, proseguendo con il segretario generale della NATO Stoltenberg, caldeggiante l’Ucraina nell’Alleanza, che diceva: «Vogliamo un mondo senza atomiche, ma al momento ci sono. E non possiamo lasciare che le abbiano solo Russia, Cina e Corea del Nord» (17 giugno 2024), dimenticandosi degli arsenali di USA, Gran Bretagna, Francia, India e Israele.
Ancora si può citare l’Ue che nel febbraio 2024 raccontava a Kiev che l’avrebbe sostenuta fino alla vittoria militare contro la Russia (pur non avendone i mezzi e le capacità) sino a Zelensky che richiedeva, di volta in volta, nuovi sistemi d’arma che avrebbero cambiato le sorti del conflitto.
Poi la nuova amministrazione della Casa Bianca ha avuto l’effetto di un ciclone, aprendo le trattative direttamente con Putin ed emarginando non solo i Paesi europei, ma la stessa Ucraina.
Giorno dopo giorno, Trump ha messo coerentemente in atto il suo programma elettorale, bloccando gli aiuti militari a Kiev, dichiarando di voler ritirare dal Vecchio Continente 35.000 uomini e di non partecipare più a manovre militari congiunte, affermando che Zelensky è un dittatore (per poi negarlo pubblicamente durante lo show nello studio ovale), avviando la guerra commerciale contro l’Ue, richiedendo che comunque gli europei, alleati e non, aumentino le spese per la loro difesa e comprino ancor di più armamenti dagli USA.
A quest’ultimo proposito alcune cifre sulle percentuali d’importazione dei maggiori sistemi d’arma di alcuni Paesi europei dagli USA nel quinquennio 2020-24: Olanda 97%, Italia 94%, Norvegia 91%, Danimarca 79%, Germania 70%, Romania 61%, Polonia 45%, Belgio 43%.
Questi dati SIPRI ci dicono che in realtà l’Europa sta già comprando massicciamente dalle industrie statunitensi (in alcuni casi dipendendone quasi in modo esclusivo), ma il businessman Trump vorrebbe molto di più. Nel caso degli aerei F35, poi, la dipendenza tecnologica è totale e molte aviazioni militari europee, tra cui quella italiana, giacciono purtroppo in questa condizione, in seguito a scelte passate di governi imprevidenti.
L’Ue si è trovata spiazzata da tutto questo ciclone che sta spazzando via alleanze e amicizie di vecchia data per cui Bruxelles cerca di correre ai ripari. La von der Leyen, anche sulla base del rapporto Draghi, ha proposto un piano di ReArm Europe di 800 miliardi di euro che viene presentato pubblicamente “per la difesa” del Vecchio Continente dai gravi pericoli che la minacciano, cioè la Russia.
In realtà non è per la difesa, ma per acquisti dalle industrie belliche, possibilmente europee, nel caso anche statunitensi, proprio come richiesto da Trump. Il vero nodo della difesa europea, l’architettura fondante della casa comune, non viene neppure toccato, cioè quello dei 27 eserciti soggetti a 27 Stati maggiori che dipendono dalla politica estera e difesa di 27 governi diversi, gelosi della propria sovranità e autonomia in questi ambiti.
Rispetto alle cifre astronomiche previste per questo piano e a fronte delle vere spese globali per la difesa di circa 2.400 miliardi di dollari nel 2023 (dati SIPRI), per precisione è sempre utile ricordare che, mentre gli USA ne spendevano 880, a breve distanza seguivano l’Ue con 287 e la NATO europea con 350, a fronte dei 309 della Cina e dei 126 della Russia.
Quindi i veri problemi sono due: in primo luogo, occorre spendere di meno ma meglio, dato che i Paesi Ue con 450 milioni di abitanti spendono poco meno della Cina con 1 miliardo e 400 milioni di abitanti. La NATO europea, per composizione poco diversa ormai dalla Ue, spende ancora di più di Pechino. La spesa dispersa in mille rivoli nazionali vanifica e vanificherà ogni razionalizzazione e la difesa europea rimarrà solo un sogno, ma un affare multimiliardario per le imprese belliche.
In secondo luogo, la maggior parte dei politici non ha il coraggio di dire che con un piano simile da economia di guerra si avranno tagli dolorosissimi nel campo sociale e ambientale, che pagheranno i ceti più deboli e non solo. L’Ue, ancorata alla sua vecchia strutturazione, intanto non ha il coraggio di affrontare una propria rifondazione per giungere agli “Stati Uniti d’Europa”.
In parallelo a questi nodi è partito il conteggio aritmetico di chi ha più testate nucleari, con lo scopo finale di provvedere a colmare il gap con la Russia, dato che il famoso “ombrello nucleare” statunitense forse non è più assicurato da oltreoceano, anche se sono appena arrivate le nuove bombe B61-12 statunitensi nelle basi degli alleati europei.
Tutto questo ignorando che oltre 100 Paesi hanno votato per il bando totale e immediato delle armi nucleari approvando il TPNW e che la Croce Rossa Internazionale ha da tempo documentato che in una guerra nucleare non ci sarebbero vincitori, ma solo vinti e distruzione totale, ambiente compreso.
L’unico ombrello nucleare disponibile nell’immediato sarebbe quello anglo-francese (oltre 500 testate), riconoscendo peraltro in un modo o in altro un ruolo prevalente a Parigi e Londra, ipotesi non ben vista nell’Europa delle gelosie nazionali e dei sovranismi.
Intanto, sempre nell’immediato, si ipotizza un invio di una forza di peacekeeping della Ue o della NATO per interporsi tra i due contendenti Ucraina e Russia, che ovviamente vuole uno schieramento neutrale e non di parte avversa. Tra l’altro, un intervento di tal genere non sarebbe né di breve durata, né semplice, come dimostra in un altro scacchiere la missione UNIFIL in Libano.
A quanto pare a Bruxelles sembra essere stato completamente dimenticato lo spirito del Manifesto di Ventotene, che, in un mondo ancora immerso nel secondo conflitto mondiale, parlava di un’Europa di pace, di diplomazia e di cooperazione, non di guerra e di emarginazione delle istituzioni internazionali, come l’ONU e la Corte Penale Internazionale. «Da qui la guerra è ancora più assurda», ci ricorda papa Francesco dal suo letto di ospedale.
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