Il resto della notte
Dopo Gomorra e Il divo, ancora storie dell’Italia oscura. Quella che vive nella paura, nella dolorosa sospensione per il futuro e nei rapporti interpersonali. Questa volta l’azione è a Torino, città di borghesia, immigrazione, conflitti sociali, ma che, secondo il regista, vuol essere un simbolo di tutto il Norditalia attuale. Come nel precedente – e bellissimo – Saimir, Munzi parte dall’osserva zione della vita. Tre storie si dipanano, finendo poi per incrociarsi. Giovanni, industriale di provincia, vive un rapporto difficile con la moglie nevrotica Silvana; Maria, la loro cameriera rumena, accusata di furto e costretta a tornare dall’ex fidanzato Ionut, vive con l’adolescente fratello Victor; e Marco, giovane cocainomane, piccolo malavitoso, separato dalla moglie. È un intreccio di vite dolenti, di rapporti che si vorrebbero chiari, semplici, ma che la difficoltà a comunicare realmente, la scarsa speranza per il futuro, rendono com plessi fino a sfociare, nel finale, in una (inevitabile?) tragedia. È il mondo vuoto della borghesia arricchita, dell’immigrazione costretta a una esistenza d’emarginazione, del bisogno di affetto che il film riesce a narrare grazie alla lucidità della sceneggiatura, al ritmo agile, e soprattutto ad un modo di raccontare fatto di togliere più che di aggiungere, che nulla concede alla facile retorica. I momenti forse migliori sono quelli fissati negli sguardi lenti, nelle pause lunghissime, nelle parole scarne. Ne esce un ritratto di vite sofferenti, guardato con occhio pietoso, lontano dall’aggressività gelida di Gomorra o dal surrealismo grottesco de Il divo. Munzi ha un cuore per l’umanità dell’Italietta, soprattutto verso i più giovani. Il bambino figlio del cocainomane, la ragazzina borghese, l’adolescente rumeno sono puntualizzati infatti con una rara precisione psicologica. Alla fine, ci si pone una domanda: è possibile aprirsi a qualcosa di diverso, di vivibile? Munzi lascia il finale sospeso. Ma forse, per Maria e Victor che lasciano l’edi – ficio fatiscente in cui finora hanno vissuto, si apre uno spiraglio di luce. Come, speriamo, si apra ancor più per il nostro cinema, che possa raccontare storie non solo di tristezza, ma anche di amore – per quanto faticoso – alla vita. Regia Francesco Munzi; con Sandra Ceccarelli, Aurélien Recoing, Stefano Cassetti, Laura Vasiliu, Constantin Lupescu.