Il Requiem tedesco di Brahms
Tragico, lancinante, disperato è l’Adagio (1910) di quella che avrebbe dovuto essere la Decima Sinfonia di Mahler. Tutta l’orchestra geme, cerca qualche momento brioso, ma dura pochissimo. Il musicista sta male nell’anima, ripensa a tutto ciò che è stato, si sente morire e compone un lavoro che è come la Pietà Rondanini di Michelangelo: una concentrazione emotiva struggente. Senza, forse, la spiritualità del Buonarroti. Bellissimo e l’orchestra trova vertici di luce e ombra diretta con passione da Philippe Jordan.
Ein deutsches Requiem (un Requiem tedesco) di Johannes Brahms (1865-1868) non è opera di un credente, ma di un uomo che si pone davanti alla morte che ci circonda quando si perdono persone care, nel suo caso la madre. Non è catastrofico e teatrale come Verdi, non è lancinante come Mozart, ma è un percorso attraverso pagine della Scrittura a meditare su cosa sia l’uomo – “erba che si dissecca -, speranza che il dolore passi, desiderio di conoscere la vita perchè poi la si dovrà lasciare, abbandono in Dio perchè la tristezza passerà e la morte(forse) sarà sconfitta. Ma soprattutto “riposo dalla fatica del vivere”.
Certo, si avverte l’anima luterana di Brahms, il suo senso del coro così spontaneo e non ricercato – in Verdi si nota l’elaborazione studiata anche se bella -, l’intervento dell’orchestra dai mille colori- specie la luminosità acuta dei violini e la gravità degli ottoni -, e poi le due voci del soprano Louise Alder e del baritono Gerald Finley, semplicemente meravigliosi.
Jordan ha tenuto in mano tutto con diligenza e fervore, perché il lavoro è difficile, con costanti sfumature, momenti di dolcezza indimenticabile (soprano e coro “Ora siete nella tristezza”), di terrore cosmico (baritono e coro “…Quando squillerà la tromba” che è un vero Dies irae concentrato, possente quanto quello verdiano), sino al finale rallentato, chiaroscurato e che chiude piano, come il Requiem verdiano. Lascia spazio al silenzio- non c’è in Brahms un accenno alla redenzione divina-, tanto da far ricordare i cieli pallidi dell’ultimo Michelangelo nella Cappella Paolina. Una preghiera di Brahms corale, umanissima, sofferta e piena di dignità. Un capolavoro assoluto eseguito con stupore e dedizione.
Per riascoltarlo si consigliano le edizioni dirette da Karajan (1964, 1981) e da Giulini (1988, 2014).