Il reato di scrivere

A proposito del libretto apparso da Adelphi, che prende in castagna il mondo dell'editoria italiano. Che assomiglia al mondo politico, a quello economico, a quello… Cioè a noi.
Il reato di scrivere

Sa essere pungente, J. Rodolfo Wilcock, critico letterario nato nel 1919 in Argentina ma operante in Italia – per Il mondo di Pannunzio, soprattutto –, morto nel 1978. Sa mettere alla berlina i vezzi, le piccole-grandi corruzioni, le inconfessabili tendenze lobbistiche di tanta parte del mondo letterario nostrano, ma non solo. Un critico, era il Nostro, che scriveva recensioni di spettacoli o libri inesistenti, per dimostrare la leggerezza e la superficialità di privilegi e di altezzosità, di ignoranza e di sbruffonerie.

 

Avanzando nella lettura del libretto, mi viene naturale sostituire al nome di uno scrittore quello d’un politico. A quello d’una “scuderia di scrittori” quello di un gruppo di finanzieri. A quello di una spartizione di premi quello d’una distribuzione di appalti pubblici. Tutto fila anche in questi casi in modo perfetto. Wilcock, come i grandi critici, cioè i grandi osservatori dell’umano agone, riesce a parlare del tutto solo analizzando una parte del tutto. E porta a riflettere sulle nostre miserie, sulle tendenze al compromesso del popolo italico, sul nostro soggiacere alle piroette istrioniche della persona di successo di turno, sulla nostra proverbiale leggerezza nel giustificare le nostre “minime” immoralità paragonandole con la “epicità” del nostro agire complessivo. E via dicendo.

 

Lo stile della «sprezzatura» – così, nella postfazione, Eldorado Camursi definisce l’atteggiamento di fondo di Wilcock – non è certo lo stile della nostra testata, molto più attenta alla «apprezzatura» di ogni umana azione fatta in buonafede. Ma “apprezzare” non è verbo sinonimo di “nascondere”, non è buonismo, non vuol dire essere infingardi e non corrisponde all’imitazione del gesto dello struzzo. Si può apprezzare veramente qualcuno o qualcosa solo quando si ha coscienza dei limiti propri (innanzitutto) e altrui (con prudenza), quando la consapevolezza delle miserie del proprio gruppo, della propria congrega, del proprio popolo permette di intravedere nel piccolo-grande gesto di giustizia, libertà o abnegazione, la via al superamento della stessa miseria.

 

Andiamo avanti. Guardiamo innanzi!

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