Il realismo magico di Bosch

Due rassegne recenti ad Amsterdam e Madrid e quella aperta attualmente alle Gallerie dell'Accademia a Venezia dimostrano la popolarità di un artista il cui messaggio è complesso
Bosch

Perché un visionario folle come Jeronimus Bosch, a 500 anni dalla morte, è ancora così popolare come hanno dimostrato le due recenti rassegne ad Amsterdam e a Madrid e come continua la mostra alle Gallerie dell’Accademia a Venezia?

Ironico e grottesco (“La cura della follia” al Prado, col medico che trapana il cranio del paziente), caricaturale e satirico (“La nave dei folli”, con frati e suore che cantano a squarciagola, al Louvre), apocalittico e “magico”. Un mondo di simboli –  spesso da noi irriconoscibili – attinto dalla predicazione visiva tardo medievale, dai terrori delle fantasia popolare colma di mostri di streghe e di diavoli. Ce n’è abbastanza per un’arte surreale, che è piaciuta tanto a certo cinema orrorifico, surrealista (Bunuel) e new age (“Il sesto senso”) in lavori che hanno preso di petto il problema fondamentale della produzione di Bosch: ossia, l’idea della morte.  Per un cristiano come Jeronimus e il suo tempo – tra fine secolo XV e inizio XVI -, morte significa: giudizio, inferno o paradiso. Per l’Europa incredula di oggi, morte può voler dire resa dei conti sul proprio vissuto, nel bene e nel male, terrore di un aldilà, ci sia o meno.

 

In un periodo storico dove la guerra e la malattia sono costanti –  come oggi -, è naturale il pensiero della fine. Bosch dà forma e colore a questa inquietudine (da cui usciranno spiriti come Savonarola e Lutero), presentando in primo luogo la figura del martirio del Cristo, immagine della sofferenza patita per l’uomo e dell’uomo.  I suoi Ecce Homo, Incoronazioni di spine presentano un Messia torturato da facce ghignanti. Lo straordinario, brutale Cristo porta croce di Gand è attorniato da mille volti demoniaci: Bosch dice da dove proviene il male, e i suoi effetti: odio guerra distruzione.

L’apocalisse, vista come rivelazione di un giudizio universale imminente, è già all’opera. Nel Trittico di Bruges il Cristo siede sull’arcobaleno paradisiaco mentre il mondo è invaso da una guerra universale fatta delle più tremende empietà, tra notti rotte da fuochi baluginanti, folle impazzite, demoni scatenati. È il mondo lontano da Dio, precipitato nella disumanità più fosca.

Meno crudele, ma carico di una fantasia surreale, Il Trittico del fieno, a Madrid, vede, a porte chiuse, l’uomo-viandante e a porte aperte da una parte il peccato originale, dall’altra l’inferno con le più orrende sevizie e al centro il carro di fieno. Ossia l’umanità, trascinata verso l’inferno entro uno sconfinato paesaggio olandese, osservato con realismo minuzioso. È il medesimo realismo visionario del celebre Trittico delle delizie al Prado.

Siamo nel clima del misticismo più ardente. A porte chiuse, Bosch raffigura la creazione del mondo, un acquoso universo pre-impressionista, ma, a porte aperte, il trittico mostra da un lato il paradiso terrestre e al centro il giardino del piacere, del vizio nelle sue innumerevoli realistiche espressioni: un microcosmo pullulante di mostri, simboli, persone, infinito come l’infinito, colorato e luminoso, digradante verso un orizzonte che non ha fine. È il film della storia umana di sempre, dell’illusione dell’uomo che si viva solo quaggiù e per sé stesso. Ma l’ultimo scomparto riserva il catastrofico microcosmo dell’“Inferno musicale”. Un pullulare di mostri, di demoni, di fiamme suonano la disarmonia del mondo delle tenebre, della verità che il narcisismo ha nascosto e che ora viene alla luce come dolore estremo.

Il messaggio di Bosch è chiaro. Le piccole tavole dell’Aldilà a Venezia lo dimostrano.

Se le ante con l’Inferno sono catastrofi lancinanti nel buio, nelle altre due invece la pace si fa serena certezza. I giusti vengono accompagnati dagli angeli alla fontana della vita, e poi sollevati in alto verso u n cono luminosissimo. Vi entrano da soli: uno si ferma sulla soglia di un lume intenso nel quale entrerà come chi ha trovato l’innocenza luminosa della sua creazione. La bruttura del mondo non esiste più. Bosch alla fine ci introduce oltre il dolore alla visione stessa del divino. È questo il “magico” destino dell’uomo.

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