Il ragnetto pioniere
E' iniziato l'Avvento. Una fiaba al giorno, per grandi e piccoli, ci accompagnerà sul sito di Città Nuova. Perché anche tornare bambini è prepararsi al Natale.
Siamo in Indonesia, all’estremità meridionale dello stretto della Sonda, fra le grandi isole di Giava e Sumatra. Quel mattino del maggio 1884, il biologo belga Edmond Cotteau sbarcò con altri scienziati su ciò che restava dell’isola Krakatoa, in buona parte polverizzata dalla tremenda esplosione con cui si era conclusa la violenta eruzione di sei mesi prima: una delle più catastrofiche della storia, che aveva causato ben 36 mila vittime e sparso ceneri vulcaniche sull’intera superficie della Terra.
Accostarsi a quei luoghi di morte era estremamente rischioso. Fra l’altro dalle pareti bruciacchiate del vulcano continuavano a rotolare macigni d’ogni dimensione. Ma Cotteau era uno scienziato e, si sa, l’amore per la conoscenza riesce talvolta a far dimenticare le più elementari considerazioni di prudenza.
Aveva poche ore a disposizione prima di fare ritorno alla base, e voleva sfruttarle bene, esplorando il più accuratamente possibile quel superstite lembo di terra vulcanica.
Nulla, nessun segno di vita: tutto era ammassi di lava basaltica solidificata senza un filo d’erba, com’era prevedibile. Ma giunto in quella che oggi si chiama baia di Handl, ad un tratto notò qualcosa di insolito che solo lo sguardo di un esperto come lui poteva scorgere. Incredibile ma vero: tra due sassi su una lingua di terra arida e deserta un ragnetto stava tessendo la sua tela come se nulla fosse. Quale insetto sperava di acchiappare per poi papparselo, dal momento che lì era assente ogni altro segno di vita? Quella minuscola creatura – pensò commosso Cotteau – era la prova che la vita era più forte, che poteva riprendere anche su quell’isola desolata.
Ma come era arrivato fin lì il quasi microscopico ragnetto?
Era andata così. Per spostarsi, l’ingegnoso insetto si era servito nientemeno che del vento, appeso ad una specie di paracadute che lui stesso aveva tessuto dal proprio addome con i fili usati solitamente per la ragnatela. Un sistema, questo, usato dai ragni della sua specie per spostarsi da un’isola all’altra in cerca di zone più fornite di cibo: ecco il probabile motivo per il quale attraversano gli oceani (a meno che non pensiamo che lo facciano per spirito di avventura!).
Fatto sta che il ragnetto era stato depositato proprio dai venti sul distrutto Krakatoa. Ed ora aspettava fiducioso (e diciamo pure con un discreto appetito) che qualche piccolo insetto finisse nella rete appena allestita.
Per tranquillizzare il lettore sulla sua sorte, dirò che di lì a poco tanta pazienza sarebbe stata premiata. Non per niente, malgrado le apparenze, la natura stava lavorando attivamente per colonizzare con nuovi esemplari vegetali e animali quell’isola passata attraverso il fuoco distruttore. Quasi contemporaneamente al ragnetto, infatti, una mezza noce di cocco trasportata dalle onde era finita su una spiaggia. Lo credereste? Nel giro di pochi giorni, favorita dal clima tropicale, già spuntava da essa un germoglio verde, dopo che una radichetta simile ad un dito era riuscita a bucare quella terra nerastra.
Pochi mesi ancora e altre piantine, nate da semi trasportati dal vento o depositati da qualche volatile, ingentilivano quelle aspre rocce, principio di future lussureggianti foreste che avrebbero ospitato specie diverse di insetti, uccelli, rettili e perfino di piccoli mammiferi arrivati non si sa come, forse aggrappati a qualche albero trascinato dalle correnti marine.
E il ragnetto? Breve ma gloriosa, grazie a Cotteau che ce ne ha tramandato il ricordo, fu la vita di quello che a buon diritto viene considerato il primo coraggioso pioniere del Krakatoa.