Il quadrato magico
Ebbi la percezione acuta del crollo già molti anni fa quando uno studente, mentre tentavo di spiegare la delicata, complessa e profonda stagione poetica dello Stilnuovo, intervenne: Ma sa, professore, noi siamo più semplici, con le ragazze, intendeva. E uno slogan studentesco-furbesco coevo gli faceva l’involontaria esegesi: Studiare meno, studiare tutti, orecchiando il post-sessantottino lavorare meno, lavorare tutti. Ora il televisore acceso ad ore imprudenti, quelle di massimo ascolto che fanno venire un male ai non vampirizzati e l’acquolina in bocca all’auditel, spiattella – non a me, dopo i primi dieci secondi – presentatori volgari anche nel dire Buona sera, impone – non a me – reality show che della reality non hanno neppure una cattiva imitazione, e sfilate interminabili di esseri umani vuoti (vedi T.S. Eliot, The Hollow Men, 1925) che si parlano e ti parlano addosso senza mai chiedersi se ciò che vociferano non debba essere, almeno una volta, migliore del silenzio da loro infranto. E si passa senza alcun pudore, o come diceva il grande Petrolini, senza orrore di sé, da una plateale esibizione di ignoranza a inesauribili fontane di banalità, da vetrine di smaccata e autocelebrativa mediocrità a rinnovate propulsioni di volgarità, che fanno da motore e da volano a tutto il resto. Eccolo il quadrato magico capace di cretinizzare (G. Ceronetti) tutto un popolo, per il quale è difficile nutrire grandi speranze mentre si appiccica qua e là a spettacoli che gli succhiano insieme al cervello residuo anche quel po’ di riserbo e di decoro che gli rimane, mal tradotto – privacy – in linguaggio da luoghi di decenza, e svenduto non al miglior offerente ma al peggior invadente. Eccoli i quattro muri della prigione: ignoranza, banalità, mediocrità, volgarità. generalmente buono e di buon senso assoggettarsi a questo allineamento in basso, incominciato negli anni Cinquanta con la quizzeria di Mike Bongiorno (altro che possibile senatore a vita) e continuato a gonfie vele fino all’odierno eclissarsi, regolarmente, della dignità, dell’onestà e della serietà davanti alle platee da panem et circenses di tutti i pubblici mediatici? Chi entra nel quadrato magico, o prigione incantatoria, si riduce alla caricatura di sé stesso, e come in tutte le fiabe che si rispettano non ne esce, se non per l’intervento di un fascino più grande, di una più alta magia; cioè, fuori dei termini mantici, per l’intervento di una più grande realtà (altro che reality). Ma non può darsi di cadere sulla via di Damasco se non la si percorre; cioè se non si trova, o ritrova, la via all’uomo interiore – credente o non credente, vorrei sottolinearlo; perché qui si tratta di dignità umana universale – se non ci si ferma a meditare, se non si prende a dialogare, anche con un libro (degno), un pensiero, un dubbio, una bellezza, che ti fanno assorto, povero, aperto a ricominciare per conoscere, non per consumare, per contemplare, non per dissipare. Il quadrato magico comincia a rivelare allora – solo allora – i suoi deprimenti segreti. E cioè che non si può essere volgari senza essere anche banali, mediocri, ignoranti (parlo di ignoranza essenziale, quella che non unisce intimamente le conoscenze, quella che resta tale anche su una cattedra assommando le conoscenze a mucchio); che non si può essere mediocri senza rivelarsi anche banali, volgari, eccetera. E cioè, come diceva stupito- addolorato Giovenale, poeta latino in un’età molto paragonabile alla nostra, che non si può abbrancarsi a (e imbrancarsi in) una cieca sopravvivenza, senza perdere le ragioni stesse di vivere (propter vitam vivendi perdere causas). O lo si può dire con le parole di un addoloratissimo poeta moderno, Offmannsthal: Oggi, nessuno giunge più a sé stesso. Ma non può essere così, non deve inevitabilmente esserlo. Si può rompere il cerchio, o quadrato, o carcere magico: rompendo l’omertà generale, polvere fine assai più pericolosa di quella, l’omertà particolare, che protegge i mafiosi e i camorristi (che possono uccidere solo il corpo). Si può se si vuole, certamente. E ciascuno, pur con l’aiuto di tutti gli altri nonconformisti, deve chiederlo solo a sé stesso, in solitudine, in silenzio (orrore!, direbbero i media)