Il profumo e il limo
“Mio padre aveva la rappresentanza, con deposito, della pasta Combattenti, quella di Cremona. Il magazzino era nel seminterrato di una villetta. Avevamo due mezzi di trasporto allora. Il primo era una “Topolino B”, un furgone di seconda mano, senza il sedile per il passeggero. Caricavamo dietro, sopra, sul portapacchi e in cabina. Poi mi sedevo io, con i sacchi in braccio. L’altro mezzo era una bicicletta di quarta mano con il portapacchi che si chiudeva. Con quella consegnavo fino a 75 chili di pasta. Un giorno sono caduto, a causa di 20 centimetri di neve che cercavo di fendere. Il portapacchi s’è chiuso ed il cliente ha ricevuto due scatole di spaghetti tranciati a metà. Allora gli spaghetti erano lunghi 60 centimetri, quindi chissà l’invenzione degli spaghetti corti si potrebbe attribuire a questo incidente”. Sono passati cinquant’anni da allora, racconta Nino, nei quali la piccola azienda a gestione famigliare è diventata una ditta di tutto rispetto, che distribuisce all’ingrosso prodotti per l’imballaggio e cancelleria nell’alto Piemonte, e che dà ora lavoro a quindici dipendenti e a sei agenti di commercio. Nino Maruelli e sua moglie Carla ci confidano la storia, originale, certamente un po’ speciale, della loro attività imprenditoriale. “Storia imprescindibile da quella della nostra vita famigliare. Perché il momento più fortunato della mia vita è stato quando, nel 1966, mi sono innamorato di Carla. Mi ricordo come se fosse allora. Era una mattino e me ne stavo in una piazzetta d’Ivrea. Vedo Carla, che conoscevo da tempo, scendere dalla sua 500. Un tuffo al cuore, una grande emozione: è lei! Era lei la ragazza che in fondo, anche sotto la facciata di giovanotto libero e spavaldo, stavo cercando per il mio futuro, per sempre”. “Anche il mio cuore ha sobbalzato – continua Carla – quando, giorni dopo, m’ha manifestato il suo amore. In fondo in fondo sapevo che sotto quella sua baldanza, che mi dava un po’ fastidio, c’era l’uomo a cui avrei potuto donare tutta me stessa e con cui formare una famiglia. Il cuore, poi, me lo confermava, così dopo un anno ci siamo sposati”. “Io vengo da una famiglia di piccoli commercianti abituati a lavorare e a risparmiare per assicurarsi il futuro. Non c’era spazio per altro – racconta Nino -. Una vecchia Ardea furgonata aveva preso il posto della Topolino. Aveva le bombole del gas sopra il tetto, ed era ben ventilata, tanto che, nonostante le imbottiture di stracci nelle fessure, dovevamo viaggiare con le coperte sulle ginocchia e sulle spalle. Lavoravamo sodo, dalle 4-5 del mattino fino alle 10-11 di sera. Sabati e molte domeniche comprese. Si mangiava nel barachin, anche in pieno inverno. Ma allora era così per molti Così, lavora, lavora, ad un certo punto sono scoppiato. Non ne potevo più. Mi sembrava senza senso quello che stavo facendo. Per il lavoro trascuravo tutto: amici, parenti, anche la famiglia”. “C’era poco tempo per noi – dice Carla -, e io mi sentivo sola. Fu in quel periodo che incontrai il Movimento dei focolari. In un lampo capii il perché della mia stanchezza, della mia solitudine. Con la scusa dei bambini piccoli, del poco tempo, del lavoro, avevo trascurato il rapporto con Dio. Mi avvicinai di nuovo al vangelo, cercando di viverlo. Mi riavvicinai ai sacramenti. A poco a poco anche Nino cominciò a condividere l’avventura che avevo iniziato. Conoscemmo altra gente del focolare, che cercava di viveva così, amando. Fu come scoprire un tesoro immenso”. “Feci un proposito da allora: spendere bene la mia vita cercando di amare Dio e gli altri – s’inserisce Nino -. Anche prima pagavo tutte le imposte e cercavo di comportarmi onestamente con fornitori, clienti e dipendenti, ma ora non era più per etica personale – che a volte mi lasciava il dubbio di comportarmi come un fesso – ma per un imprescindibile bisogno di rapporto e dono verso gli altri”. “Non è che siamo diventati diversi è di nuovo Carla -: io e Nino siamo rimasti gli stessi, ma ci vedevamo con occhi nuovi, e il nostro matrimonio ha cominciato a funzionare con rinnovata vitalità. Tempo fa ricevetti una telefonata da una conoscente. Voleva parlare urgentemente con me e Nino, perché il giorno seguente scadeva il termine per la firma della separazione. Disse una frase: se avessi un marito come il tuo non mi separerei”. “Il fatto è che lei si stupì – è di nuovo lui – quando, incontrandoci, s’accorse che i difetti che non riusciva più a sopportare nel marito, anche lui commerciante, li avevo anch’io. Solo che Carla li vedeva con occhi diversi. Piano, piano s’aprì una strada. Ci ripensò, e non andarono a firmare la separazione”. “Ma per tornare alla ditta – dice Nino -, nel ’91 abbiamo aderito all’Economia di Comunione. Nel ’93 tirava aria di crisi forte, specialmente per le piccole aziende. Il debito pubblico impazzava, i Bot rendevano il 18 per cento senza fare nulla. Era dura. Ma noi volevamo continuare ad amministrare quello che avevamo guadagnato per il bene di tutti. Quindi abbiamo investito tutti i risparmi, abbiamo fatto un miliardo di debiti per costruire la parte nuova della ditta, con il negozio e gli uffici. Ci finanziammo con un mutuo, tuttora in essere e lo scoperto di conto. Un po’ alla volta ci siamo preparati ad affrontare le sfide della modernizzazione. “Ci siamo accorti – continua – che, cercando di vivere così, mettendo al primo posto l’amore per i fratelli, nella nostra azienda erano entrato un socio nascosto: Dio, con la sua provvidenza. Abbiamo sentito il suo intervento in molti momenti di crisi, quando non abbiamo mollato, per cercare di restare coerenti con i nostri ideali. L’azienda ha camminato così sempre su due gambe: il lavoro e la provvidenza. “Proprio questa convinzione ci ha fatto tenere duro di fronte alla paura dei colossi. Abbiamo dovuto fare rapidi cambiamenti, diventare più moderni e incisivi, ma spesso ci scontravamo con la resistenza e l’incapacità dei collaboratori, specie i più anziani. Normalmente in queste situazioni si svecchia, ma noi non l’abbiamo fatto. Facendo perno sui più giovani, inserendoci in due consorzi nazionali di grossisti, comprimendo gli utili, siamo riusciti ad aumentare il fatturato, e il trend continua. In uno dei consorzi di cui facciamo parte mi sono opposto alla proposta di utilizzare dei fondi per oliare l’introduzione presso certi clienti; dopo un primo momento di sconcerto anche gli altri soci hanno convenuto con me. La libertà dall’egoismo ci ha permesso di essere molto più aperti ed attenti ai cambiamenti di mercato, così abbiamo visto la nostra aziendina crescere in un contesto difficile che ha spazzato via o ridimensionato molto dei nostri colleghi”. “Il nostro impegno verso gli altri – è ora Carla a parlare – ci ha portati ad essere soci di una comunità-alloggio e negli anni abbiamo assunto ragazzi che, finite le medie sarebbero stati in giro tutto il giorno, e così quelli che escono dalla comunità a 18 anni. Uno di questi è Bruno, un ragazzo con una famiglia sfasciata, molto insicuro e nevrotico, assunto come autista e presto ribattezzato scassacamion. Ne ha fatte di tutti i colori: insegne, dehor, balconi erano la sua specialità. Abbiamo ancora il suo ricordo in un camion, che viaggia un po’ storto, come un cane da caccia. Con lui tante discussioni, anche dure, per cercare di renderlo più responsabile e cosciente di sé E poi, Dario, un ragazzo senza famiglia, che non s’ammazzava certo di fatica: si coricava sui pancali e gridava agli altri: lavorate schiavi. Abbiamo rischiato di perdere dei buoni collaboratori per causa sua, ma quando si trattava di licenziarlo gli stessi si opponevano. Ho avuto liti terribili con lui, ma l’amore ha vinto anche qui. Ora lavora da altre parti, ma viene a trovarci spesso, specie se ha bisogno di qualche consiglio”. “Abbiamo assunto part-time anche la mamma di uno dei ragazzi – riprende Nino -, che vive separata dal marito con a carico un altro figlio handicappato. Tante vicende l’avevano emarginata. Ora ha acquistato nuovamente la sua dignità e la esterna anche nel comportamento e nel modo di vestire. Per Natale s’era fatta per la prima volta la permanente. Arrossendo un po’, mi disse: “Vede come sono diventata più bella? Sono stata proprio fortunata a trovare una famiglia come la vostra”. “Nel ’98 la crisi Olivetti faceva già sentire i suoi effetti sull’occupazione locale. Così con un gruppo di amici abbiamo fondato una cooperativa sociale per dare lavoro. La cooperativa ha acquistato una vecchia cascina, che è stata poi ristrutturata. S’è iniziata la produzione di prodotti biologici e altri lavori, assumendo personale, di cui il 40 per cento persone svantaggiate. Con gli anni i soci lavoratori hanno costituito un’altra coop sociale che dà lavoro a una quarantina di persone”. Hanno tanto da raccontare Carla e Nino, testimonianze stupende; si starebbe ad ascoltarli per ore. “Un ultimo fatto – conclude Nino -. Nel Duemila siamo stati alluvionati. Subito abbiamo ricevuto l’aiuto di tutti i nostri dipendenti, soci e amici. Tutti si sono prodigati per asciugare, per ripulire, per cercare di salvare quanto possibile. Così in pochi giorni l’azienda era nuovamente funzionante. Dopo l’alluvione venne un cliente che stupì nel vedere tutto in ordine, quasi come se nulla fosse stato. Inoltre mi diceva che non sentiva il puzzo di limo come nelle altre aziende alluvionate. A me piace pensare che è stato il profumo dell’amore di tutte le persone che ci hanno aiutato a prevalere sul puzzo di limo”.