Il privilegio di servire
L’amore spinge all’eguaglianza, che è la condizione della fratellanza.
Le relazioni tra uomini sono un gioco d’amore: uno dà e 1’altro riceve, in apparenza: in realtà entrambi ricevono e danno; ché, coloro i quali vengono serviti da noi, danno a noi il privilegio di farci servire in loro Dio e di procurarci meriti, che ci aprono l’accesso a Dio. Questa realtà, del nostro trattar con Dio trattando coi fratelli, risulta dal Vangelo, secondo cui i servizi prestati a essi vengono, al giudizio, computati come servizi prestati a Cristo; e secondo cui Dio misurerà a noi come noi avremo misurato ai fratelli; ci giudicherà e tratterà come noi avremo giudicato e trattato i fratelli. L’amore agisce come spinta all’eguaglianza, che è la condizione della fratellanza, in cui non ci sono figli e figliastri. Ci potranno essere creature più o meno intelligenti, più o meno belle o sane o buone, ma tutte figlie dello stesso Padre, e quindi tutte eguali verso di lui. E allora, come il Padre tratta te, tu devi trattare tuo fratello.
Devi buttarti ad amare – dare l’anima ai fratelli – soprattutto quando sei tentato di rinchiuderti in te, a cullare la tua tristezza, a farti incapsulare dalla disperazione o dalla noia: quando più i fratelli ti danno nausea; e, potendo, sceglierai – se devi scegliere –, i più repellenti. È in essi Gesù piagato, sputato, crocifisso; e così abbracci lui: lo Sconfitto, il Fallito, il Reietto. E ti metti di là dai confini del dolore; e ti unisci a Dio. Quindi, proprio quando mondo e passioni – un viluppo di mostri – ti stringono per chiuderti in un nodo di egoismo, allora esci: cerchi Dio. Il Signore ci comanda di amare il prossimo, cioè chi, di momento in momento, ci si fa vicino, in casa, al negozio, all’ufficio, al lavoro, al teatro… Questo dà concretezza all’amore. Ché amare genericamente, tutti, specie i lontani, è bello, ma costa poco e rende meno, quando non diventi un’evasione dagli obblighi del servizio che l’amore comporta. La croce è servire di fatto chi ci passa accanto: i familiari, i compagni di lavoro e di viaggio, di parrocchia e di quartiere: i passanti che incontriamo; quelli che, per essere più vicini, sono forse più remoti. Se amiamo questi, per essi amiamo tutti, come per una propedeutica pratica. Gesù servì i figli d’Israele, nel suo Paese, nel suo tempo, ora per ora, villaggio per villaggio, per servire, in essi, concretamente tutti, di tutti i tempi e luoghi.
(Da: Il Fratello, Città Nuova, 2011)