Il primo uomo

Torna nelle sale Gianni Amelio con un film tratto dall'opera incompiuta di Camus. Da non perdere, scava nell'anima e commuove
Il primo uomo

Finalmente un bel film italiano. Non facciamo nomi, ma i nostri autori raramente sanno toccare le corde più riposte del cuore, attraverso il filtro “defiltrante” della memoria affettiva senza cadere nell’ovvio, o, peggio, nella superficialità venduta per originalità.
 
Gianni Amelio torna dopo sei anni – l’ultimo film era stato La stella che non c’è – e firma un’opera da ricordare. Sembra che sia passato più di un decennio da quando ci ha cominciato a pensare, a lavorare, a soffrire per trovare chi la producesse e la distribuisse. Da noi, che diamo soldi a cinepanettoni sommari (con il rispetto per chi li fa) o peggio a film fatti passare di “interesse culturale” (e qui la fila sarebbe lunghissima!).
 
Amelio ha fatto suo il romanzo incompiuto di Albert Camus, Il primo uomo, identificandosi completamente nello scrittore protagonista franco-algerino, cioè Camus, che torna nella patria in guerra intestina a rivedere l’infanzia povera, il maestro che l’ha aiutato, a cercare la memoria del padre che non ha conosciuto, gli affetti duri della nonna e teneri della madre.
 
Autore di film sulla paternità, questa volta Amelio indaga il mondo femminile visto attraverso gli occhi di un uomo che è rimasto dentro di sé puro, come quando è nato: è sempre stato come “un primo uomo”, libero e innocente, assetato di giustizia, e di amicizia con tutti, francesi o arabi.
 
Non è difficile riconoscere in Camus, Amelio orfano di padre, emigrato dalla natia Calabria, cresciuto con la nonna e la madre e pervaso da un sentimento trepido di amore verso di loro.
 
Poesia del ricordo, fissata in immagini luminosissime, silenzi e riprese in primo piano lente come e più di un discorso, riflessioni profonde che sembrano nascere sul momento tanto son vive, e invece vengono come risorgive da un animo che le ha covate, fatte marcire per anni e ora risorgono nella loro purezza originaria, ricche di saggezza.
 
Poesia anche della libertà, quella che fa tutti uguali, e in questo senso il film è un messaggio all’inutilità del razzismo e della violenza. Ma Amelio non fa film di passione civile. Lui racconta la vita nelle sue relazioni più intime, scava l’anima, come sanno fare ormai pochi in Italia. E nella vita della gente, del ragazzino che poi diventa uomo, c’è anche passione per l’umanità, apertura, voglia di amore.
 
Questo è in definitiva un film sull’amore. Di quelli difficili da fare oggi, in cui le capacità tecniche non mancano, ma difetta l’ispirazione autentica, il cinema come comunicatore della vita più sincera, meno edulcorata.
 
Rapido ma anche lento, con dialoghi essenziali e recitato alla grande da ogni attore o attrice, diretto con squisita sensibilità ai luoghi, ai volti e ai gesti, il film conta su interpreti come Maya Sansa, sguardo quanto mai parlante; su Jacques Gamblin, la faccia segnata del protagonista adulto e sul piccolo Nino Jouglet, che recita lui da bambino – semplicemente straordinario, è lui il grande attore del film – e sulla madre anziana Catherine Sola, immagine solare della vecchiezza, pregna di intensa malinconia e di sereno coraggio.
 
Che donne, quelle di questo film. Racconto di gente povera e umile, che si fa strada da sola e col sacrificio, senza nepotismi o favoritismi ma solo grazie al proprio dolore e amore per la vita. Ci sono sequenze bellissime: l’inizio, al cimitero dove Camus cerca la lapide del padre, i pranzi con la madre e lei che cuce alla finestra, la ricerca dell’amico d’infanzia nel quartiere arabo, le sommosse e il carcere, le lezioni in classe… fino a quella finale della madre che chiude le finestre, come a dire «tutto è finito, il figlio se ne è andato, ora riposiamo».
 
Delicatezza unica. La poesia di Amelio, poesia dell’uomo “ideale”, canto per l’infanzia, forse qui ha raggiunto il suo vertice espressivo, che sintetizza le scoperte già fatte nella opere precedenti, ma qui arriva, depurata, a commuovere. Chi ancora non si vergogna – critico o spettatore – di commuoversi al cinema della verità.

I più letti della settimana

Il sorriso di Chiara

Abbiamo a cuore la democrazia

Carlo Maria Viganò scismatico?

Quell’articolo che ci ha cambiato la vita

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons