Il prezzo dei Balcani

Da quando l’Europa ha iniziato il suo non facile percorso di unificazione, tutto non è accaduto come per un colpo di bacchetta magica. Forse un primo miracolo, però, ci fu quando alcuni dei leader europei più rappresentativi del dopoguerra convennero sulla possibilità di tentare un percorso comune che conducesse all’unificazione economica e politica del Vecchio continente. Da allora, si è snodata una serie di eventi eccezionali che hanno consentito di raggiungere traguardi fino a poco prima assolutamente impensabili. Finché, venti anni fa, con il crollo del muro di Berlino e l’implosione dell’Unione Sovietica, anche la bipolarità fra est e ovest, ha proposto ben altre dimensioni al sogno europeo. Nel timore di perdere l’occasione storica di riunire finalmente tutto il continente, fu impressa una forte accelerazione all’integrazione con i Paesi della Mitteleuropa, verso i quali le democrazie occidentali furono più generose che nel passato nel fissare gli standard per l’ingresso nell’Unione. Uno scenario assai diverso, purtroppo, si presentò nei riguardi dei Paesi balcanici e segnatamente di quelli della ex Jugoslavia, le cui popolazioni si apprestavano a regolare fra loro vecchi conti irrisolti che il crollo della bipolarità mondiale aveva riportato allo scoperto. Ed ecco che, mentre i nuovi confini imposti dai Paesi vincitori del Secondo conflitto mondiale vennero rispettati, ciò non avvenne nell’area balcanica per quanto concerneva la Repubblica federale jugoslava, sicché proprio quel Paese che per un verso poteva considerarsi avviato all’integrazione con l’Ue per quanto aveva già costruito di unitario al suo interno, rimise tutto in discussione e, negli anni Novanta, visse una delle tragedie più atroci del secolo scorso. Purtroppo, in quelle circostanze, l’Europa, o meglio i singoli Paesi dell’Unione non favorirono il processo di unificazione, ma inseguendo vantaggi settoriali, finirono per ostacolarlo. Oggi potremmo essere alla fine di questa dolorosa fase involutiva, che vede la Serbia, uscita umiliata da questo conflitto, guardare con grande risentimento all’Europa, come a chi ha di fatto portato a prevalere su di lei tutti i suoi nemici: dalla Croazia, alla Bosnia, ed ora anche al Kosovo. Più che ovvio, dunque, il suo riallineamento con l’alleato di sempre, cioè con la Russia, madre naturale dei popoli slavi. Ma la Serbia è pur sempre la chiave di volta del Balcani, ed i Balcani sono comunque in Europa, nel bene e nel male. Si è dunque guardato con giustificata apprensione alle recenti elezioni politiche in Serbia, che si tenevano subito dopo il riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo da parte di quasi tutti i Paesi europei. Nonostante ciò, smentendo le previsioni, il partito filoeuropeo di Boris Tadic si è aggiudicato la maggioranza relativa. Troppo poco per considerare chiuso il contenzioso con l’Unione, comunque un buon inizio per riprendere le trattative. Forse l’Europa, per sbrogliare questa intricata matassa, dovrebbe cominciare a considerare il contenzioso balcanico come un problema che la tocca da vicino, tanto da essere gelosa degli interventi esterni, vuoi della Russia, come degli Stati Uniti non meno di quanto lo sono questi Paesi nelle proprie aree di influenza. Perché l’Europa potrà aprirsi al l’esterno, come spesso dimostra di apprestarsi a fare, quando finalmente sarà unita al suo interno.

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