Il presidente e l'”animatrice”
Una pagina poco nota degli inizi dei Focolari a Roma. La profonda amicizia nata tra Alcide De Gasperi e Chiara Lubich.
«Se tu vuoi sognare vieni a Fregene/ Dove canta sempre il cielo e il mar./ Quanti viali all’ombra per la gioventù./ Se vedrai Fregene non la scordi più./ C’è nell’aria della sua pineta/ Un profumo che t’inebria il cuor…». Sono versi di una canzonetta del 1950 che celebra le attrattive della cittadina balneare a due passi da Roma, avviata a diventare dopo l’interruzione della guerra meta preferita di un turismo di élite.
Intanto dalla sua “culla” di Trento il Movimento dei focolari stava mettendo radici anche a Roma, dove Chiara Lubich e alcune sue compagne si erano trasferite nel 1949. E proprio a Fregene, nella villetta tra via Marina di Pisa e via Rosignano messa a loro disposizione dalla coppia amica degli Alvino, esse erano solite andarsi a riposare.
Quella domenica dei primi di febbraio 1950, alle focolarine s’erano aggiunti, da Roma, Igino Giordani con qualche focolarino. Stavano passeggiando lungo la spiaggia deserta quand’ecco avvicinarsi un’altra piccola comitiva, in mezzo alla quale egli scorse una figura nota: «Ma quello è De Gasperi con sua moglie!».
Tra il famoso scrittore e deputato e colui che era stato eletto primo presidente del Consiglio dell’Italia repubblicana l’amicizia era di vecchia data. Fra l’altro Giordani aveva preso le difese dello statista trentino quando era stato attaccato dai fascisti e, dopo la sua scarcerazione nel 1928, gli aveva ottenuto da Pio XI un impiego presso la Biblioteca Vaticana.
Giordani era certo che, così com’era accaduto a lui, anche De Gasperi avrebbe colto i valori e l’attualità del messaggio evangelico del movimento, traendone motivi di speranza e serenità nelle gravi difficoltà di quel dopoguerra così agitato dai contrasti politici. Ma non gli era ancora riuscito di combinare un suo incontro con Chiara. Ora l’occasione pareva provvidenziale.
Così Chiara rievoca quell’episodio: «Giordani andò subito loro incontro e presentò me come fondatrice del Movimento dei focolari, e le focolarine, dicendo che venivamo da Trento. Poiché De Gasperi era trentino, apparve sorpreso e interessato e chiese cosa facessimo a Roma. Una di noi, Graziella De Luca, disse sorridendo: “Siamo venute per portare il fuoco e per minare la città”. Poi, vedendo che De Gasperi appariva meravigliato, spiegò di che fuoco e di che esplosivo si trattasse: “Vogliamo accenderla e minarla di amor di Dio”. La conversazione si prolungò per un po’. De Gasperi, anche se visibilmente stanco e pallidissimo, si mostrò subito disponibile, tanto che alla fine Giordani lo invitò a pranzare insieme. De Gasperi disse che non poteva, perché era ospite di una famiglia amica e doveva ritornare presto a Roma, ma che prima di partire sarebbe venuto nella villa Alvino a prendere un caffè».
Quali impegni impellenti richiamassero lo statista nella capitale è presto detto: la ricostruzione e il riassetto economico del Paese procedevano a fatica e c’era penuria di pane, ciò che alimentava il malcontento del movimento operaio e sindacale, mentre si attendevano come la salvezza le Liberty, le navi da trasporto Usa con aiuti alimentari.
All’arrivo del capo del governo con la moglie in casa Alvino, Giordani invitò Chiara a intrattenere l’illustre ospite sugli inizi del movimento a Trento e sui suoi sviluppi. Doveva trattarsi di un breve saluto, invece «De Gasperi – racconta Chiara – ascoltò per quasi un’ora immobile e raccolto. Sembrava che per lui ogni parola avesse un peso e un significato. Non fece alcun commento, ma quel suo silenzio era l’eco più eloquente. Ad un certo momento fece una domanda: “E la Madonna? Voi non parlate della Madonna?”. Quel nome pronunciato da lui svelava un intimo rapporto con Maria. La risposta immediata da parte di tutti fu un’esplosione di gioia e gli parlai di Maria, e di come – nella luce del carisma che aveva dato vita al movimento – lo Spirito Santo aveva fatto scoprire in maniera nuova lo splendore del disegno di Dio su di lei».
Era ormai sera inoltrata quando De Gasperi con gli altri venuti da Roma si accomiatò dalle focolarine, felici di aver «incontrato non un politico, ma un uomo di Dio». In strada, dove qualcuno s’era munito di pile per orientarsi nel buio della pineta che fasciava l’abitato, lo statista era visibilmente commosso: «Questa mattina – confidò – ero disperato: per l’opposizione dei comunisti, la situazione politica è ormai ad un punto tale di tensione che non vedevo altra via di soluzione che dimettermi dal mio incarico. Sono andato a messa a San Pietro, ho pregato Dio di illuminarmi e, quasi come risposta, m’è venuto in mente di prendermi una giornata di riposo a Fregene per riflettere. Ora riparto con fiducia e speranza nuove».
Ripensando a quel primo incontro, De Gasperi ebbe a confidare: «Quella è la vita vera!», col rimpianto di non potervi dedicare il suo tempo. Comunque a Fregene, come aveva assicurato, fece ritorno verso metà di quello stesso mese di febbraio.
Di nuovo Chiara: «Anche questa volta parve molto stanco. Si accomodò in una poltrona e gli parlai, quasi continuando la conversazione avuta precedentemente, del misterioso grido di Gesù sulla croce: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”; quindi della realtà dolore-amore da cui non si può prescindere se si vuole realizzare l’“ut omnes unum sint”, che è lo scopo del movimento. Egli di nuovo seguiva tutto in grande silenzio. Alla fine commentò: “Questa è la seconda lezione”».
De Gasperi offrì a Chiara una rilevante somma per le necessità del movimento, ascoltando poi dai presenti esperienze indicative di come lo spirito del movimento si diffondesse nei più diversi ambienti.
«Quei fatti – continua Chiara – gli fecero molta impressione. Lo si capiva dai suoi commenti ed anche dall’espressione del suo volto che pareva guardare lontano: come intravvedesse un mondo nuovo, possibile, in cui nei ministeri, negli uffici, nelle fabbriche e nelle strutture sociali ci fossero cristiani che, uniti fra loro, portassero dappertutto la presenza di Gesù. Disse che l’esperienza che il movimento stava facendo era la vera soluzione dei problemi che congestionavano la pubblica amministrazione, l’apparato statale, paralizzandone la vita. Quei suoi commenti venivano accolti come qualcosa di “sacro”, perché sembrava che riflettessero non solo la saggezza e l’esperienza di un’intera esistenza messa al servizio di Dio nell’impegno politico, ma che confidassero pure il travaglio e l’angoscia della sua anima lavorata e provata dal Signore. “Ogni mattina, quando mi sveglio – disse a un certo momento – la prima preghiera che mi viene spontanea alle labbra è il Miserere”».
L’interesse che Chiara portava anche ai fatti politici derivava dalla consapevolezza del bene o del male che attraverso la politica poteva inserirsi nella compagine sociale. Da qui scaturirà nel 1959 il Centro Santa Caterina per animare una politica ispirata al Vangelo, seme di quello che oggi va sotto il nome di Movimento politico per l’unità.
In seguito Chiara incaricò Graziella di andare ogni tanto ad aggiornarlo sulla vita del movimento e la diffusione anche all’estero dello spirito dell’unità. «Quando mi recavo nella sua residenza ai Castelli Romani – ricorda la De Luca – al mio arrivo lo trovavo già in attesa e mi ascoltava a lungo come fosse l’argomento più importante della sua vita». Ed è ancora Graziella a riunire periodicamente a Montecitorio una “cellula parlamentare” formata da alcuni onorevoli che hanno aderito ai Focolari.
De Gasperi coglieva ogni occasione per mantenersi collegato. Scrive Igino Giordani: «A Montecitorio, nel “corridoio dei passi perduti”, quando ci incontravamo, per prima cosa mi domandava notizie di colei che egli chiamava “la vostra animatrice”».
Esprimono l’intensità di questo rapporto alcune lettere dello statista a Chiara. Come questa del 21 aprile 1951 in risposta ai suoi auguri di compleanno (era nato il 3 aprile 1881): «Il sentirsi uniti sotto le ali della paternità divina offre un senso di serenità e di fiducia, anche nell’ora della tribolazione. E ora travagliata è questa, in cui l’uomo che ha responsabilità di governo è attanagliato da un feroce dubbio: che si preparino giorni amari per il nostro Paese e che noi non siamo preparati ad affrontare la tragedia con la solidarietà e la compattezza necessarie. Se non fossi tenuto a partecipare alla responsabilità di quella parte di storia che la Provvidenza deferisce al libero arbitrio degli uomini, me ne starei appartato e rassegnato, comunque, ai voleri di Dio. Ma per il cristiano che intende la politica come estrinsecazione della sua fede e soprattutto come opera di fraternità sociale e quindi di suprema responsabilità in confronto dei fratelli e del Padre comune, quest’angoscioso travaglio diventa un dovere inesorabile. Non voglio turbare con questo travaglio mio l’ardore della vostra vita spirituale, che si eleva al di sopra di così tristi temporalità; ma spiegarvi il mio stato d’animo e, nel ringraziarvi del vostro augurio, dirvi quanto mi siano preziose e utili le preghiere di tanti fratelli e sorelle, come voi e come molti che incontro ovunque nel nostro Paese e che sono consapevoli di questa mia preoccupante responsabilità».
Nel 1953, con gli onorevoli Roselli e Pacati, De Gasperi fece una comparsa al convegno estivo del movimento, che quell’anno si teneva a Tonadico di Primiero: ivi «respirò almeno per un’ora – ricorda Chiara – l’aria tersa e la gioia serena di quella vita spirituale che, come aveva detto, era per lui “la vita vera”. Di quella serata di festa ci è rimasto il ricordo del suo sorriso e di quella canzone che era l’inno della Mariapoli e che per i versi scherzosi e improvvisati a lui piacque moltissimo; se la fece cantare due volte: “Tranvier, studenti, medici,/ speziali, deputati,/ entrati qui in Mariapoli/ son già parificati;/ che valgono le cariche,/ se qui fratelli siam?/ È tutto un Paradiso/ dove c’è l’unità”».
In quello stesso anno la Dc perse la maggioranza assoluta in Parlamento, mentre il Pci avanzava: iniziava la stagione dei governi cosiddetti centristi. De Gasperi, ormai malato, si ritirava dalla vita politica. Ma chi era De Gasperi per Chiara? Oltre che «un uomo di Dio», il rappresentante di quella potestà civile obbedendo alla quale («date a Cesare quello che è di Cesare») si aderiva alla volontà divina. Era per lei «il nostro Cesare».
Eloquenti queste espressioni, tratte da alcune sue lettere allo statista: «È nostra convinzione che ogni autorità viene da Dio (…): Lei ha tutta la grazia di stato per governare l’Italia» (1950). Ancora: «Gesù un giorno ci ha fatti incontrare e non fu certo per caso. (…) Da quel giorno dividemmo spiritualmente con lei le ansie, i dolori, gli affanni; e pur non vedendola, sentivamo in fondo al nostro animo la certezza che Gesù fra noi, uniti nel suo nome, le era accanto e portava con lei la grave responsabilità. Oh! Quello che avremmo voluto fare per lei…» (28 gennaio 1953). E più avanti, in quel medesimo anno: «Per noi “patria” e “De Gasperi” furono e sono pressoché sinonimi perché noi concepiamo una patria cristiana e lei, eccellenza, è il simbolo, l’espressione della cristianità italiana» (14 agosto).
Un anno dopo, il 19 agosto 1954, moriva colui che viene considerato uno dei padri della Repubblica italiana e dell’Europa unita, e di cui è in corso a Trento la fase diocesana del processo di canonizzazione. Annota Giordani: «L’ultima volta che lo vedemmo con Chiara a Sella di Valsugana nella sua dimora estiva, persa tra le conifere, giaceva sereno sul capezzale di morte». Tutto il movimento lo pianse.
«La sua morte – testimonia Chiara – è indicativa della sua vita. De Gasperi aveva una fede profonda che sottostava a tutto il suo agire, era la ragione della sua esistenza, la sua forze nall’affrontare le difficoltà. Aveva un’interiore spinta all’unità e lavorò per realizzarla nel partito e in Europa. Anche per questo – penso – sintonizzò subito con la nostra spiritualità, l’amò, l’apprezzò e vi rimase legato».