Il presidente dimezzato
Domenica 24 giugno 2012 Mentre tramonta il sole sull’infuocata città del Cairo, si odono suonare a festa tanti claxon. Ma l’Egitto non ha vinto contro l’Algeria, o contro un’altra nazione dell’Africa settentrionale da cui la separano rivalità sportive e non solo. Suonano ovviamente per salutare una vittoria, quella di Muhammad Morsi, che non esprime la volontà del popolo egiziano nel suo insieme, come fanno credere tante televisioni occidentali che semplificano tutto, ma di una parte solo di essa, diciamo di un 25 per cento abbondante della popolazione che ha diritto al voto. Festeggiamenti che non faranno scattare automaticamente le proteste dei vinti, tantomeno delle ondate di violenze, perché non è nello stile dei sostenitori di Ahmed Shafik, lo sconfitto, agire della sorta.
Poche ore prima, già all’inizio del lungo discorso del presidente della Commissione elettorale, un attento spettatore avrebbe potuto notare sul viso del presidente Farouk Soltan una sorta di singhiozzo, e una smorfia che poteva far intuire che non avrebbe dato la notizia che avrebbe voluto dare, perché il vincitore delle presidenziali non era il “suo” candidato, bensì il fratello musulmano Muhammad Morsi.
Va tuttavia ricordato che, alla vigilia del ballottaggio, cioè una settimana fa appena, lo Scav – l’organismo militare che di fatto governa il Paese dei faraoni – ha comunicato di aver assunto per decreto delle decisioni importanti riguardanti proprio la presidenza. Nella sostanza il potere legislativo resterà nelle mani dei militari fino all’elezione del nuovo Parlamento, che non si sa quando avverrà. Inoltre il presidente non è più il capo delle forze armate e non può usare l’esercito all’interno del Paese o scatenare una guerra senza l’accordo dello stesso Scav, così come non ha competenze sul personale dell’esercito e non può modificare il budget della difesa. Senza dimenticare che c’è un presidente, ma non c’è una Costituzione!
L’impressione generale e dominante, tuttavia, è che sia intercorso un accordo tra l’esercito e i Fratelli musulmani sulla condivisione del potere: i prossimi mesi saranno teatro della vera lotta per il potere, con l’incognita tra l’altro di una influenza straniera sempre più forte, attraverso le ambasciate dei Grandi. Non per niente il neo-presidente, nel suo discorso televisivo, s’è affrettato a dichiarare che non verranno toccati i trattati internazionali firmati dall’Egitto, compresi quindi quelli con Israele.
Discorso di circostanza, nel quale ha richiamato tutti all’unità nazionale, salutando le forze armate, la polizia, i governatorati, dicendosi garante della rivoluzione, ricordando i martiri di piazza Tahrir. Ha pure affermato che «non andrà contro la volontà di Dio», citando varie volte l’umma, la patria musulmana, e affermando che darà spazio a vari principi della shari’a (discorso per i musulmani). Ma ha anche detto che tutti hanno gli stessi diritti (discorso per i cristiani) e che crede nei valori democratici (discorso per l’estero).
Resta il fatto che la novità è grande: dopo 60 anni c’è un presidente eletto che non è espressione dei militari, e per giunta espressione di un raggruppamento islamico. Ora il neo-eletto si trova dinanzi a una grande sfida: condividere il potere con l’esercito, il vecchio nemico dei Fratelli musulmani, una sfida ancora totalmente aperta. Il nuovo presidente dovrà sforzarsi di svolgere al meglio il suo lavoro, perché sarà giudicato sui fatti sia dal popolo egiziano che dall’opinione pubblica mondiale. Si pensi all’enorme problema economico, ma anche al ruolo della donna nella società, al rispetto dei diritti umani e delle regole della democrazia. Ha poco tempo, Morsi, perché probabilmente il suo potere durerà poco: vari osservatori e giuristi affermano infatti che al momento della promulgazione della nuova Costituzione, tra un anno circa, dovrebbe scadere anche il suo mandato, e saranno quindi indette nuove elezioni.