Il potere del denaro nella città casinò
L’azzardo in Italia non è una questione tecnica da delegare agli aspetti sanitari della cura della patologia della dipendenza compulsiva del cosiddetto “gioco” di sorte. La permeabilità della politica al potere pervasivo delle grandi aziende commerciali del settore mette in evidenza un punto di fragilità che permette di comprendere in profondità questa fase nella storia della società in balia della grande finanza.
Per questo motivo è significativo aprire il dibattito e confrontarsi con la prospettiva di un pensiero alternativo a quella logica economica che vede positivamente anche la crescita del business dell’azzardo, salvo delegare alla carità benefica dei privati il compito di rimediare agli effetti collaterali negativi sulla vita dei più deboli. Paolo Cacciari è un esponente del “movimento della decrescita” che proviene, tra l’altro, da un impegno diretto, come consigliere e assessore, nell’amministrazione di un comune importante come quello di Venezia. Nella sua esperienza passata di parlamentare, inoltre, si è distinto per l’impegno a favore della pace e al centro della sua riflessione ( cfr. il testo “Decrescita o barbarie”) resta la necessità di un uscita non violenta dal sistema capitalista. Poniamo le nostre domande, perciò, partendo da un dato di fatto per cercare di capirne le cause immediate e quelle remote.
Da 10 anni, in Italia, il settore dell’azzardo è stato liberalizzato e dato in concessione a società multinazionali. Queste ricercano fisiologicamente il loro profitto incentivando la penetrazione dell’offerta dei prodotti sempre più aggressivi. Come si può leggere questo fenomeno? Facendo riferimento alla responsabilità sociale dell’impresa o aumentando la quota dei ricavi da destinare per la cura della dipendenza patologica dall’azzardo?
«Credo che l’azione di contrasto al gioco d’azzardo (analogamente alla lotta all’abuso di droghe, alcol e ad altri comportamenti autodistruttivi e asociali, ad incominciare dalla prostituzione) debba essere affrontata a tutto tondo. In primo luogo cercando di capire le cause che inducono molte persone, nei secoli dei secoli, ad essere attratte e a provare piacere dal rischio e dal feticcio dei soldi. Certo, nell’epoca del trionfo neoliberista, tutto si mercifica e tutto è affidato al mercato. L’entrata nel business delle grandi imprese (pensiamo alle slot, ma ancor più ai giochi on-line) aumenta l’offerta e, conseguentemente, alimenta la domanda. Ritengo che la liberalizzazione dell’iniziativa privata anche in questi settori sia un gravissimo errore. Illudersi che queste imprese possano praticare una qualche forma di “responsabilità” è come chiedere alle industrie delle armi di usare proiettili a salve. Così come reputo una mera “partita di giro” una “tassa sul gioco” allo scopo di compensare i danni provocati. Certo, ben venga almeno questa misura, per non penalizzare ulteriormente il sistema socio sanitario, ma non pensiamo che possa far diminuire la pratica del gioco d’azzardo».
C'è chi come un ex premier (Silvio Berlusconi) ha proposto come risposta al disagio per gli sbarchi dei migranti e come fattore di crescita l'apertura di un Casinò a Lampedusa. Altri politici continuano a proporre questa ricetta per altre città. Partendo dall’esperienza diretta sul posto, che ruolo ha svolto e continua ad avere lo storico Casinò di Venezia ? Potrebbe essere una soluzione realista confinare tutte le varie case chiuse dell'azzardo in “slot city” separate dal contesto urbano ordinario?
«Il Casinò di Venezia è gestito (ancora per poco, temo) direttamente dall’amministrazione comunale. Le delibere per avviare la privatizzazione erano già state approvate prima dello scandalo del Mose che ha portato lo scioglimento del Consiglio Comunale. Ciò ha impedito gli scandali più gravi (infiltrazioni mafiose, riciclaggio di denaro, corruzione, ecc.) verificatisi in altri Casinò italiani. Fino all’avvento delle slot machine era visto dalla popolazione come una sorta di grande giocattolo dorato per ricchi scemi e viziosi. Un ottimo sistema per prendere un po’ di denaro a milionari e turisti da spendere in opere utili per la città».
Cosa è cambiato negli ultimi anni?
« Il “confinamento” è stato travolto dal dilagare della cultura del gioco d’azzardo di massa arrivata dagli Stati Uniti e veicolata dalla televisione (molte trasmissioni di intrattenimento sono in realtà apologia dell’azzardo). Il nuovo Casinò municipale sorto una ventina di anni fa nella periferia di Mestre (sui modelli della Slot City) si è messo a farsi pubblicità nei supermercati, negli stadi di calcio, nelle mostre, fino nelle scuole con sponsorizzazioni dirette. Ritengo, quindi, anche sulla base dell’esperienza della involuzione subita dal Casinò municipale di Venezia, che la soluzione del “casinò unico statale” in ogni città non sarebbe affatto un confinamento, ma la creazione di un potentato economico capace di imporsi sulla vita della comunità. Una attività non solo legittimata, ma legittimante perché capace di fornire i denari necessari alla amministrazione pubblica. Quello che lo Stato non riesce più a fare tramite il prelievo fiscale progressivo (perché manca la autorevolezza necessaria), lo si fa tassando le puntate al gioco “volontarie” degli allocchi. Per economisti e politici sembra una bella soluzione alla “crisi fiscale dello Stato”. Le libertà personali sono salve, il mercato anche e lo stato finalmente ridimensionato. Peccato che procedendo in questa direzione, il denaro (comunque acquisito, anche quello che produce i guasti più profondi sull’animo umano) acquisti sempre di più un valore assoluto e il ruolo di regolatore unico della vita delle nostre società contemporanee».