Il positivo del dolore
Alcune ricerche psicologiche hanno dimostrato che essere sempre positivi e pieni di speranza è possibile grazie ad un segreto, quello di “trasformare creativamente” il dolore presente nella nostra vita. Un segreto, questo, che consiste nell’immaginarlo come un passaggio, seppur faticoso ed estenuante, attraverso un varco abbastanza stretto, l’evangelica «porta stretta in vista del regno dei cieli». In altri termini, si tratta di passare attraverso una strettoia che procura dolore, per uscire dalla propria limitata coscienza ordinaria onde accedere ad una illimitata coscienza collettiva, e questo varco può essere rappresentato dalla morte: del feto nello stretto canale vaginale che si trasforma poi in neonato, del seme nel buio della terra che si trasforma poi in frutto, del verme nella soffocante crisalide che si trasforma poi in farfalla. Queste trasformazioni sono possibili solo grazie a questo segreto: indebolire l’impalcatura psicologica che sostiene l’Io e il suo sentirsi un agente autonomo che permette di vedere il mondo in una prospettiva completamente diversa perché può facilitare la nascita di una nuova identità.
E questa creatività trasformativa del dolore la ritroviamo ben descritta da un paziente: «Fu per il dolore che entrai in analisi. Fu attraverso il dolore che si dispiegò l’analisi. Fu con l’accettazione del dolore che finì l’analisi». In fondo, quando Freud definiva la depressione come una “ferita del narcisismo”, non era poi molto lontano dai mistici di tutti i tempi e di ogni luogo, i quali nel contemplare il dolore lo definivano in sostanza come «uno squarcio dell’Io dove entra Dio».
Ecco presentarsi, allora, la possibilità di uscire dal proprio piccolo “ego personale” infarcito di paura, e di accedere al più vasto “ego non-personale” dove vige l’amore. Certo, Freud la sapeva lunga quando nel 1895 in un libro pubblicato postumo – Progetto di una psicologia – diceva: «L’impotenza iniziale degli esseri umani è la fonte originaria di tutte le motivazioni morali», per cui la fuoriuscita dall’ego personale è possibile soltanto se si riconosce e si accoglie l’impotenza nella propria esistenza mediante il segreto poc’anzi svelato.
Diceva lo psicanalista inglese Wilfred Bion: «Diventiamo ciò che accettiamo di patire». D’altra parte già il poeta sufi Rumi cantava: «Vide la sofferenza che bevevo una coppa di dolore e gridai: “È dolce, non è vero?”. “Mi hai preso in castagna ‒ rispose la sofferenza ‒ e mi hai rovinato la piazza. Come farò a vendere dolore se si viene a sapere che è una benedizione?”».