Il popolo di Kamala Harris

Il discorso di accettazione della nomination della candidata democratica. Da un lato un popolo (con Kamala Harris). Dall’altro lato un uomo solo al comando (Donald Trump). Due visioni del mondo e dell’America
Kamala Harris - EPA/CAROLINE BREHMAN

«Come procuratore, quando avevo un caso, lo incriminavo non in nome della vittima, ma in nome del popolo, per una ragione semplice. Nel nostro sistema di giustizia, un danno contro uno di noi è un danno contro tutti noi (…). E ogni giorno, in aula, mi presentavo orgogliosamente davanti a un giudice, dicendo cinque parole: “Kamala Harris, per il popolo”. E per essere chiari, nella mia intera carriera ho avuto un solo cliente: il popolo. A nome del popolo, a nome di ogni americano, indipendentemente dal partito, dalla etnia, dal genere o dalla lingua che parla tua nonna. A nome di mia madre, e di tutti coloro che hanno intrapreso il proprio viaggio improbabile. A nome degli americani come le persone con cui sono cresciuta, persone che lavorano sodo, inseguono i loro sogni e si prendono cura l’uno dell’altro. A nome di tutti coloro la cui storia potrebbe essere scritta solo nella più grande nazione della Terra, accetto la vostra nomina a presidente degli Stati Uniti d’America. E con queste elezioni la nostra nazione ha una preziosa, fugace opportunità di superare l’amarezza, il cinismo e le battaglie divisive del passato, una possibilità di tracciare una nuova strada. Non come membri di un partito o fazione, ma come americani».

La differenza tra Trump e Harris è tutta in questa rivendicazione di comunità e di collegialità di Kamala Harris. Tanto la convention repubblicana è stata un one man show, con l’unico e solo protagonista Donald Trump – neanche sostenuto da ex presidenti come George W. Bush, che non era presente, né dal suo ex vice presidente Mike Pence anch’esso assente –, tanto più la convention democratica che si è svolta a Chicago questa settimana e ha portato all’accettazione della nomination di Kamala Harris ha mostrato un partito, una comunità coesa, attorno alla sfida di battere Trump e il trumpismo.

L’America che guarda a tutti e che non vuole lasciare indietro nessuno da un lato. Dall’altro c’è un’America che invece dice di voler tornare grande da sola isolandosi, pensando a sé.

L’America di Harris, l’ex magistrata, prima donna a capo della Procura generale della California, poi senatrice che si batteva per i diritti e poi prima donna della storia vice presidente Usa, che con il suo discorso di accettazione ha già mostrato il suo piglio di leader pronto a guidare la prima potenza mondiale e il suo ruolo di guida nel mondo, un’America quindi multilaterale

Contro l’America di Trump che vuole tagliare i fondi all’Ucraina, limitare l’impegno nella Nato e, come ha fatto durante la sua prima presidenza, guardare all’isolazionismo, a un’America appunto che pensa a sé e non al multilateralismo, alle Nazioni Unite, alla politica da fare assieme agli altri Paesi alleati per tentare di rendere il mondo un posto più unito e migliore.

La differenza è tutta qui. Da un lato un popolo. Dall’altro un uomo da solo al comando.

Kamala Harris e con lei il partito democratico americano hanno fatto già un mezzo miracolo: un mese fa Trump, sopravvissuto a un attentato e un tentato omicidio era diventato l’eroe americano, contro il vecchio Biden, in crisi di carisma e consensi dopo la brutta figura nel primo confronto televisivo che aveva mostrato tutti i suoi limiti legati all’età.

Trump, dunque, era superfavorito nella corsa per le elezioni presidenziali del 5 novembre per riconquistare la Casa Bianca. Davanti in tutti i sondaggi rispetto al candidato democratico. Biden si è ritirato dalla corsa, mettendo da parte la sua ambizione politica e pensando al bene della nazione, dopo una lunga serie di interventi che lo invitavano a farsi da parte intravedendo una sonora e sicura sconfitta alle urne. Kamala Harris, l’ex “Di Pietro californiana”, che non ha fatto mai ombra al suo presidente nei suoi quattro anni da vice, è uscita finalmente in prima fila.

Una donna dei primati e delle sfide impossibili. Tutta la sua carriera lo racconta. Un magistrato, un procuratore capo, una donna delle regole e del diritto contro un condannato per frode, un ex presidente che quando era imprenditore miliardario ha truffato il fisco per anni gonfiando le sue ricchezze per non pagare le tasse allo Stato con le sue società immobiliari.

Due visioni del mondo. Due visioni dell’America. Ebbene, in un mese Kamala ha ripreso 13 punti e superato Trump nei sondaggi nazionali. Ha scelto come vice presidente un uomo dell’America profonda, che è un uomo della classe media ma anche un public servant, Tim Walz, ex professore di geografia, l’allenatore della squadra di football della scuola, governatore del Minnessota in contrapposizione al vice presidente candidato repubblicano JD Vance che viene anche lui dall’America profonda, dal Midwest, ma ha studiato a Yale, tra le università americane più prestigiose, ed è diventato ricco e famoso con il suo libro Elegia americana in cui racconta le lacerazioni e la crisi del Midwest ed è diventato milionario lavorando nella Silicon Valley. Un profilo molto diverso da coach Walz e la sua aria da uomo qualunque che però si fa capire bene da tutti quando parla.

Ultima ma non ultima per importanza, Harris in questo mese ha superato tutti i record per la raccolta fondi della campagna elettorale. Gran parte dei fondi sono arrivati da tantissime piccole donazioni da parte dei cittadini americani, anche di pochi dollari. Di nuovo il popolo che torna.

Non sarà facile per lei in questi ultimi 70 giorni di campagna che ci separano dal 5 novembre vincere le elezioni presidenziali. È una donna. Di colore. Di fronte ha Trump che l’attaccherà fino all’ultimo per cercare di screditarla e ha un’America divisa e rissosa che ama Trump e la sua visione di politica individualistica e di benessere per pochi.

Se dovesse riuscire a vincere le elezioni Kamala Harris sarebbe la prima donna della storia a diventare presidente degli Stati Uniti. Più difficile di sconfiggere Trump sarà però sconfiggere il trumpismo – come ha detto nel suo bel discorso di accettazione della candidatura al termine della convention democratica che potete leggere qui per intero –, riuscire a essere la presidente di tutti gli americani e unire il Paese.

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