Il popolo della domenica
Quattro ore di viaggio in elicottero per celebrare una messa nel caldo torrido di una mattina di fine maggio a Bari. È la prima uscita in Italia di Benedetto XVI. Una visita breve ma forse proprio per questo dall’alto valore simbolico. Non è venuto per far parlare di sé ma per parlarci di Cristo dirà il vescovo di Bari, mons. Cacucci. E non poteva essere diversamente, per quel che ci è dato di conoscere di questo papa. La spianata di Marisabella che ha accolto la folla di fedeli giunti principalmente dalla Puglia ma anche da tutta Italia, già calda dalle prime ore del mattino, è diventata rovente quando, verso le 9.30, l’elicottero con a bordo Benedetto XVI è comparso all’orizzonte. C’è il papa, c’è il papa, qui è da brividi dice un signore al telefonino. Sì, nonostante la temperatura alta è da brividi vedere tutta la spianata con gli occhi in su, sventolando cappellini bianchi e gridando Benedetto. Quasi una metafora di quella spinta a guardare in alto e a mirare lontano, presente nelle parole del papa. La maggior parte dei convenuti sono giovani. Hanno dormito qui arrivando già dal pomeriggio del giorno precedente perché non vogliono perdersi questo primo appuntamento con papa Benedetto. Con l’entusiasmo tipico loro vivono anche Bari, come a Roma in occasione della morte di Wojtyla e dell’elezione di Ratzinger, un anticipo di Gmg. Nella sua omelia interrotta ben 14 volte dagli applausi Benedetto XVI sottolinea con ferma dolcezza, come sa fare lui, la centralità dell’eucaristia fonte di unità e la radicalità della vita evangelica in un mondo dove non è facile vivere da cristiani ma nel quale siamo chiamati a non scendere a compromessi. Come lo stesso Gesù che, nonostante il mormorio della gente dopo la sua affermazione Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me ed io in lui, non ha fatto ricorso ad addolcimenti ma ha mantenuto ferma la propria affermazione anche di fronte alla defezione di molti suoi discepoli (…) pur di non mutare in nulla la concretezza del suo discorso. Il tono del papa a un certo punto si fa forte e invitante, e la folla gli tributa l’applauso più lungo. È quando Benedetto XVI allude all’unità dei cristiani. Noi possiamo incontrare Cristo solo insieme con tutti gli altri – dice -. Possiamo riceverlo solo nell’unità. Se vogliamo presentarci a lui, dobbiamo anche muoverci per andare gli uni incontro agli altri. E arriva al passaggio più incisivo: L’eucaristia è sacramento dell’unità. Ma purtroppo i cristiani sono divisi, proprio nel sacramento dell’unità. Qui a Bari vorrei ribadire la mia volontà di assumere come impegno fondamentale quello di lavorare con tutte le energie alla ricostituzione della piena e visibile unità di tutti i seguaci di Cristo. Sono cosciente che per questo non bastano le manifestazioni di buoni sentimenti. Occorrono gesti concreti che entrino negli animi e smuovano le coscienze. Chiedo a voi tutti di prendere con decisione la strada di quell’ecumenismo spirituale, che nella preghiera apre le porte allo Spirito Santo, che solo può creare l’unità. Due ore che lasciano un segno ed indicano la strada. Non poteva chiudersi meglio di così il XXIV Congresso eucaristico nazionale. La settimana del congresso Ma cos’è successo in quella settimana che ha portato nel capoluogo pugliese 70 mila congressisti, 150 vescovi, 9 cardinali e persino il papa? Si è accesa una grande luce in grado di rischiarare tutti e tutto. Questa luce ha un nome: è l’eucaristia, cuore della vita di ogni cristiano e del congresso stesso. Dando una rapida scorsa al programma, si intuisce subito che l’eucaristia non restringe il cristiano alla sfera intimistica e privata della vita, ma allarga il suo orizzonte ad una dimensione ecclesiale e sociale senza confini. Ad offrire riflessioni e testimonianze giorno dopo giorno si alternano in tanti: operatori del tempo libero, del turismo, dello sport, della cultura, della comunicazione, artisti, studenti universitari, educatori, rappresentanti del mondo del lavoro, dell’economia, protagonisti della solidarietà, famiglie. Ci sono fondatori e rappresentanti di aggregazioni laicali venuti a testimoniare il cammino di comunione in atto e delegazioni ecumeniche protagoniste di una giornata da tanti ritenuta storica per i ponti gettati fra le diverse sponde delle chiese cristiane. Impossibile raccontare tutto. La scelta di Bari come sede del congresso è proprio dovuta alla natura di questa città che ha da sempre una vocazione ecumenica. A ricordarlo era stato lo stesso Giovanni Paolo II quando nel 1984, recatosi nel capoluogo pugliese, aveva evidenziato come la compresenza del mondo bizantino e di quello latino hanno segnato la storia di questa città e di questa regione. Pullula di vita Bari in questi giorni, si sente che la città non ha lesinato sforzi per garantire ai congressisti i servizi necessari per un soggiorno, oltre che spiritualmente ricco, anche piacevole e privo di disagi quanto più possibile. I muri sono tappezzati di manifesti che invitano i cittadini a fare di Bari una città aperta e un’informazione precisa aiuta i residenti a collaborare. Nelle parrocchie si organizza l’accoglienza, e i baresi aprono le loro case. Sede della settimana congressuale è la Fiera del levante, un luogo delimitato e aperto allo stesso tempo, di fronte al mare, vicino all’ansa di Marisabella dove l’ultimo giorno, intorno a Benedetto XVI venuto a cele- brare la messa conclusiva, si aspettavano 300 mila persone. Un evento per la città che a queste folle non è proprio… abituata. Una folla variegata, anzi un popolo di cui ha tutte le caratteristiche: ci sono i vescovi delle diocesi italiane e tanti sacerdoti e religiose; molti laici impegnati; interi nuclei familiari; tantissimi giovani. È bello vederli arrivare a frotte ogni mattina, a gruppetti o anche da soli. Dicono con la loro presenza il volto giovane della chiesa cui offrono un contributo di vitalità, freschezza e autenticità che è sicurezza per l’oggi e speranza per il domani. Quelli della generazione Wojtyla, come qualcuno li ha definiti, evidentemente non si sono smarriti né tantomeno dispersi dopo la morte del loro papa. Sarà che, in effetti, il loro punto di riferimento è Gesù Cristo con cui Wojtyla li aveva fatti incontrare e diventare compagni di viaggio? A vederli, sembrerebbe di sì. E dunque anche Benedetto XVI può contare su di loro. Il titolo Ma veniamo al titolo del congresso: Senza la domenica non possiamo vivere. Uno slogan, una provocazione, una campagna contro la libertà della domenica o qualcos’altro? Occorre anzitutto dire che dietro questa frase (ed è il motivo per cui è stata scelta) c’è il martirio di 49 cristiani di Abitene – una città dell’odierna Tunisia – che, contravvenendo agli ordini dell’imperatore che proibivano la celebrazione dei riti sacri, si erano riuniti in casa di uno di loro per l’eucaristia domenicale. Arrestati, giudicati e mandati a morire avevano affermato senza alcuna titubanza: Senza la domenica non possiamo vivere a significare che l’eucaristia celebrata in questo giorno era elemento costitutivo della loro stessa identità di cristiani. In realtà basta lasciarsi coinvolgere anche solo per un po’ dal clima della Fiera, dalle tematiche che si affrontano nei vari giorni, dal confronto aperto tra i diversi relatori, per capire che non si tratta di una campagna e tanto meno di una campagna contro. È, semmai, un impegno per. Un impegno per l’uomo, per la sua realizzazione piena, per la sua felicità vera. Il tempo e la festa Non vengono certo ignorate le nubi che si addensano sui cieli della nostra esistenza. Si riconosce, tuttavia, che più in là e più su di tali nubi, c’è un sole, capace di diradarle, ridando vita, senso e calore all’esistenza di ogni persona. Lo sottolinea mons. Betori, segretario generale della conferenza episcopale italiana, che nel suo intervento d’apertura parla del nostro tempo come di un esodo e dell’umanità che, trovandosi ad attraversare un deserto, è piena di dubbi sulla direzione da prendere, sul perché del cammino. Salvare la domenica è in questo contesto un impegno urgente e non un privilegio per i cristiani, ma difesa dell’uomo da minacciose schiavitù. Dalla cultura della domenica impariamo a dare il nostro tempo ai fratelli e a rieducare l’intera nostra vita. Se poi pensiamo quanto nella nostra società sia presente il bisogno di far festa o la ricerca frenetica di forme di svago, come dimostra il moltiplicarsi delle opportunità di divertimento o l’importazione di tradizioni che ci sono estranee, come Halloween, ad esempio, è evidente come sia legittimo proporre all’uomo di oggi la festa domenicale. Una festa però che non ci lasci più tristi e vuoti di prima ma che diventi spazio di pace, di perdono, di ricostruzione di rapporti interrotti, in cui il riposo dal lavoro aiuti ad aprirsi a relazioni umane fraterne non sottoposte a logiche produttive e commerciali. È insomma quella possibilità di non lasciarsi travolgere da una delle sindromi della nostra epoca, quella della mancanza di tempo che non lascia più spazio per Dio, per gli altri e, in fondo, neanche per sé stessi. La città dell’uomo Si capisce così che la dies domini ha a che fare con la vita di tutti i giorni. Ad evidenziare le ripercussioni che la domenica ha sulla città dell’uomo è la presidente dell’Azione cattolica, Paola Bignardi. L’Eucaristia – afferma – ci indica che la gratuità è la chiave di ogni sana relazione umana. Ci insegna ad amare la città. Ci ricorda che l’unica strada per il rinnovamento della politica è il metterci in gioco personalmente e fare la nostra parte per il bene comune . In fondo anche noi siamo spesso l’edizione moderna dei due discepoli di Emmaus, simbolo di ogni persona delusa e sfiduciata, ma, come loro, possiamo ritrovare nel pane e nel vino speranza, decisione e nuova voglia di vita. Il mondo ha bisogno di relazioni eucaristiche, come le definisce la Bignardi, relazioni cioè basate sulla gratuità, sull’ascolto, sull’accoglienza, sulla condivisione di obiettivi comuni. Se questo succedesse fra le generazioni, tra l’uomo e la donna, verso i poveri, nei rapporti con le istituzioni, con i beni e con il creato, nei confronti di ogni vita umana, il mondo nuovo sognato da tutti sarebbe più a portata di mano. Ecco perché senza la domenica non possiamo vivere. Perché la domenica è tutto questo ed anche di più. La domenica giorno ecumenico Se c’è un aspetto che non è mai venuto meno nelle diverse chiese è la celebrazione della resurrezione di Gesù. La domenica ha frenato la separazione tra i cristiani – afferma mons. Paglia – e la sua celebrazione è ancora una rete che unisce tutte le chiese cristiane a Gesù. Dunque la domenica come giorno della riconciliazione dei cristiani. È la prima volta che all’interno di un congresso eucaristico si realizza una giornata dedicata all’ecumenismo, nota il vescovo di Terni. Non poteva essere diversamente nella città in cui, tra l’altro, il patrono, san Nicola, è tanto amato e venerato sia dai cattolici d’occidente che dagli ortodossi d’oriente che qui svolgono frequenti pellegrinaggi. Essere cristiani significa vivere secondo la domenica ricorda il card. Kasper, citando il pensiero di un padre comune della chiesa indivisa, Ignazio d’Antiochia. Sì, senza la celebrazione della domenica non siamo più identificabili e senza identità visibile corriamo il rischio di non essere più presi in considerazione, aggiunge il presidente del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani. Nella crisi attuale della cultura d’Europa, questo continente ha bisogno della nostra comune testimonianza – sostiene Kasper -. L’impegno ecumenico non è un’appendice o un lusso, ma fa parte essenziale della cultura cristiana in Europa. Anche per questo non possiamo più permetterci una divisione; essa non è solo uno scandalo dal punto di vista religioso, ma è insostenibile anche dal punto di vista culturale e politico. E da qui una proposta: promuovere a Bari un sinodo di riconciliazione. Perché l’ecumenismo avanza, nonostante tutto. Non sarebbero qui, altrimenti, delegazioni ecumeniche con il rappresentante della chiesa ortodossa russa Kirill e quello luterano di Finlandia Huovinen. I congressisti applaudono i loro interventi e tutti insieme si rendono protagonisti di una intensa celebrazione ecumenica nella splendida cattedrale di San Nicola. Protagonisti i laici È una cultura ricca quella della domenica che, lo abbiamo detto, getta luce su ogni aspetto della vita umana, nel mondo, dove i laici in particolare sono chiamati a testimoniare ed annunciare il vangelo. Non a caso in quegli stessi giorni viene loro inviata una lettera dai vescovi italiani che è al contempo un invito alla corresponsabilità, uno stimolo alla comunione, un apprezzamento ed un incoraggiamento a farsi promotori dell’evangelizzazione. E non a caso una delle ultime mattinate del congresso è dedicata al mondo del laicato. Esponenti di movimenti e associazioni, consulte e parrocchie, testimoniano la varietà dei carismi che fanno bella la chiesa. E la chiesa comunione tanto auspicata da Giovanni Paolo II è qui visibile negli interventi dell’uno e dell’altro dei relatori ed ancor più nei rapporti che denotano un’amicizia consolidata, un percorso condiviso, un impegno comune, strada fatta ed altra da fare. È la prova che la chiesa di oggi può contare su un laicato maturo che, nelle sue diverse espressioni, ha coscienza di svolgere un ruolo da protagonista. La tavola rotonda è presieduta dall’inviato del papa, il cardinale Camillo Ruini, che concludendo evidenzia come l’unità basata sull’eucaristia sia un’unità realmente più profonda e diversa dalle altre. Per questo il cardinale ringrazia Antonietta Giorleo dei Focolari per il suo intervento incentrato sul profondo legame che intercorre tra l’eucaristia e il carisma dell’unità tipico del movimento. Sottolinea poi quanto siano vere le affermazioni della presidente dell’Azione cattolica Paola Bignardi: Dimmi come vivi la domenica e ti dirò che cristiano sei e quella di Andrea Riccardi, fondatore di Sant’Egidio: È la domenica che salva la chiesa come popolo. E aggiunge infine come nella chiesa ci sia bisogno di unità ma anche di pluralismo. Quel pluralismo cristiano che non perde mai di vista la sua fonte, l’eucaristia. Alla nostra domanda sui frutti di questo congresso il cardinale risponde: Confidiamo che siano frutti molto abbondanti perché quello che si sta seminando adesso è tanto e viene accolto molto bene. Dunque da Bari in poi c’è da aspettarsi una grande raccolta. Se tutti ci diamo da fare. Salviamo la domenica Un appello affinché la domenica continui ad essere giorno di festa per i lavoratori, le famiglie e la comunità. A lanciarlo, durante il Congresso eucaristico, molte realtà associative, professionali e sindacali. Di seguito alcuni stralci. Le trasformazioni in atto nelle attività economiche nel contesto della produzione come in quello dei servizi hanno determinato una progressiva estensione degli orari lavorativi, con un aumento dei regimi di orario, una loro marcata differenziazione e scomposizione che non distingue il giorno dalla notte e si protrae lungo tutto l’arco della settimana. Tali fenomeni stanno occupando il tempo della festa e trasformando il significato della domenica. Il lavoro che nella festività era richiesto come eccezione nei casi di una effettiva necessità ed imprescindibilità (servizi pubblici essenziali, sicurezza, tutela della salute), oggi si estende a molti settori nei quali non esiste l’esigenza di un lavoro per la protezione dei cittadini. Le motivazioni, invece, sono legate esclusivamente all’ampliamento delle occasioni di consumo, come ad esempio nella grande distribuzione commerciale. (…) Chiediamo quindi che: sia maggiormente salvaguardato il principio della eccezionalità del ricorso al lavoro domenicale contro la tendenza a rendere intercambiabile il giorno del riposo settimanale; vengano pertanto riconsiderate le norme legislative in materia di orario di lavoro laddove abbiano superato il principio di coincidenza tra riposo settimanale e domenica (…); e vengano riconsiderate le norme che regolano le attività commerciali (…). Acli, Aiart, Api-Colf, Cisl, Col diretti, Compagnia delle Opere, Confap, Gioc, Icra, Mcl, Mlac, Movimento per l’unità dei Focolari, Mrc.