Il ponte su La Vella
Quando di sotto sento sciabordare l’acqua, gongolo di gioia. Scorre limpida, con sussurri lievi, canticchiando melodie che io soltanto intendo e che mai mi suonano monotone. Mi domando da dove venga e dove vada. Me ne sto sempre qui, tranquillo, senza aver mai risalito il corso del ruscello. Non deve partire da molto lontano perché è quasi un filo d’acqua. Sono rari i giorni novembrini quando, perdendo la sua consueta calma, s’adira e vien giù gonfio di superbia. Per lo più scende lemme lemme, un rigagnolo soltanto. Ma quelle rare volte, più rinforza, più mi fa sentire importante: lo sovrasto.
Nei tempi andati c’è stato anche chi l’ha tenuto in gran conto, e temuto. Pochi metri più a valle, gli hanno delimitato la riva sinistra con mura ciclopiche, un ricordo degli antichi Etruschi, che su a monte scavavano marmo verde e modellavano terre cotte. Forse allora faceva paura.
A chi farebbe paura oggi La Vella? In questi giorni d’estate proprio a nessuno. Non mi manda giù neppure una goccia. Sento che più in alto un rigagnolo scorre ancora, limpido come sempre, ma chissà dove si perde; qui non arriva.
È in questi momenti che mi sento completamente inutile e mi lascio andare a pensieri malinconici, fin quasi alla depressione. Tutti possono passare da un argine all’altro camminando sull’erba rasata e asciutta che copre il greto e i dolci declivi da ambo le parti. A che serve un ponte se non fa attraversare un fiume, o almeno un ruscello?
Me ne sto in silenzio, al riparo di un’acacia, di un tiglio e di una quercia, i miei tre alberi ombrosi che di tanto in tanto, agitati dalla brezza, fremono e mormorano per non farmi sentire solo.
«Ve ne sono grato, amici. So che cercate di tenermi compagnia, ma l’acqua mi manca, m’hanno fatto per lei… L’arcata elegante di mattoni non luccica più di riflessi argentei».
«Non vedi come noi ti macchiettiamo col gioco dei raggi di sole filtrati dalle foglie danzanti?».
«Ve ne sono grato, amici. Ma che ci fo qui, senz’acqua?».
Lo so che La Vella non è la Drina, e che io non sono il Ponte sulla Drina. La mia non è una storia secolare, degna d’essere raccontata e tramandata. Avrei qualche speranza se tu che scrivi di me fossi un Ivo Andrić! Pazienza.
Sono soltanto un piccolo povero ponte artigianale, privo d’importanza, su un fiumiciattolo privo d’importanza, che congiunge due sponde prive d’importanza: un quartieruccio di periferia e un parco pubblico che porta verso la collina sassosa, di pini stentati.
«Questa mattina, fa il tiglio, ho visto passare di corsa su di te due ragazzini che andavano a giocare sul prato. Li ho sentiti a lungo mentre si rincorrevano. Avrebbero potuto scendere sul greto asciutto e invece erano contenti di passare da te».
«Io dopo pranzo – fa la quercia –, ho visto due anziani che si parlavano tra di loro dei tempi andati. Uno di qua, uno di là dal ponte, ma intanto hanno scelto te per parlarsi a distanza».
«Io questa sera, fa l’acacia, ho visto un ragazzo e una ragazza che si baciavano appoggiati al tuo parapetto, tutti e tre baciati dal sole del tramonto. Perché si saranno fermati proprio lì da te?».
«Quando sono crucciato m’acceco. Quasi che l’acqua fosse la mia sola ragione d’essere. Ma forse avete ragione, amici miei. Il ponte è passaggio e incontro. Passaggio di armate o di bambini, incontri di persone importanti o d’innamorati… che importanza può avere? Sono semplicemente un ponte. Per oggi mi basta fare da ponte».