Il Polo e gli otri pieni

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Il convegno “Il Polo Lionello: casa degli imprenditori” è stato soprattutto una festa, una festa di famiglia, in cui la gioia di ritrovarsi risultava la nota dominante. Ma quel week-end di metà maggio è stato anche molto di più. In questi giorni l’Economia di Comunione sta entrando nel suo dodicesimo anno di vita. Nel 1991 il lancio, le prime aziende, le prime tesi di laurea. Qualche anno dopo il Polo Spartaco in Brasile, e come regalo per il suo decimo compleanno, l’idea del Polo Lionello, che oggi, grazie alla EdC.spa, è una realtà. Non sono state le tappe di un business plan, di un progetto fatto a tavolino, ma il dispiegarsi di un disegno che, come Chiara Lubich ha ricordato il primo giorno del convegno, “ha le radici in Cielo”. Il disegno quindi c’è, ma ci si svela vivendolo. Quale è il significato di un polo nell’economia dell’Economia di Comunione? Sono state molte le immagini usate, anche nei due giorni di Loppiano: laboratorio di una nuova economia, città sul monte, distretto industriale sui generis, espressioni diverse che aiutano a penetrare la ricchezza di un fenomeno nuovo come è il polo; infatti esso, come l’EdC, è una figura assolutamente inedita, che nessun libro di economia poteva neanche immaginare. Sono convinto che lo sviluppo dei poli sarà un salto di qualità decisivo per l’intero progetto, e quanto sta avvenendo in questi anni in Brasile e ultimamente in Argentina ci dice già qualcosa di questo. L’EdC, ce lo ha magnificamente ricordato Chiara Lubich nel suo intervento, è un segno profetico, poiché dice oggi come sarà l’economia di domani, e l’intervento del professor Stefano Zamagni ha proprio “dimostrato” ciò, con un rigore logico simile ad una dimostrazione geometrica. Le imprese EdC però vivono nell’oggi questa economia del domani, fanno già da anni scelte, tutte “improntate all’amore”, nell’ordinaria vita aziendale. Amano ora clienti, fornitori, concorrenti, lo stato (cercando la piena legalità), la comunità civile” in un contesto di mercato “normale”. La “normalità” delle imprese presenti all’expo non poteva che impressionare: non prodotti artigianali o di nicchia, ma ciò che si compra e si vende in ogni fiera del mondo: è questa la loro profezia. In certi casi, poi, il mercato diventa “anormale”, perché tende a premiare i comportamenti peggiori. Questa vita profetica nell’ordinaria gestione degli affari rende il viaggio nel mare dell’economia a tratti burrascoso; a volte i marosi possono far paura, e anche se non cambiano le motivazioni di fondo e le scelte, possono influenzare i risultati economici, che nel mercato hanno la loro importanza per sopravvivere e crescere. La realtà economica italiana (e non solo) ci offre un modello interessante: le piccole imprese, che non possono certo competere nelle variabili economiche fondamentali con le grandi multinazionali, tendono ad attrarsi l’un l’altra, a crescere vicine: si localizzano nella stessa area, insistono sullo stesso territorio; e si sa che un albero cresce più robusto in una foresta che isolato. Così le imprese dei “distretti industriali” beneficiano di economie “esterne” che riescono a colmare gli svantaggi nelle economie “interne”: queste economia esterne si chiamano cultura sociale presente nel territorio, conoscenza tacita accumulata in secoli di civiltà, e soprattutto fiducia diffusa e virtù civili. La Toscana, dove guarda caso sorge il Polo Lionello, è una delle patrie di questi distretti, che hanno come punto di forza questa sinergia tra cultura e impresa. Il polo dell’EdC innesca simili meccanismi virtuosi: la cultura sociale è la “cultura del dare e dell’amore” del popolo che la esprime; il territorio non è scelto a caso, ma è quello delle cittadelle dei Focolari, laboratori vivi di quella cultura. Ma c’è di più: il popolo non solo alimenta quella cultura ma è anche l’azionista di maggioranza. L’EdC.spa, ma anche l’Espit o l’Unidesa e le altre società che stanno nascendo in diverse nazioni a sostegno dei poli nascenti, sono società ad azionariato diffuso (“siamo poveri, ma tanti”), e gli azionisti sono più di tremila persone (alcuni hanno offerto la loro testimonianza, in uno dei momenti più belli del convegno), che credono e vivono lo stile di comunione, e investono in quelle azioni in vista di un rendimento più ricco del solo ritorno monetario, perché sanno vedere nel valore aggiunto aziendale “beni invisibili” che, sebbene non ancora catturati dall’attuale contabilità, sono autentica ricchezza e benessere. E del bisogno di arrivare, anche dialogando con le università, a nuovi indicatori economici, ad una nuova contabilità sociale che superi il già meritorio (ma parziale) bilancio sociale, si è parlato molto in quei giorni. Le “nozze di Cana” è stata un’altra immagine forte emersa dagli interventi (quello di Alba Sgariglia): in quella preghiera di Maria “non hanno più vino”, in molti abbiamo risentito un’eco della preghiera, spesso silenziosa, che spesso diventa grido di giustizia, che si alza oggi dal mondo dell’economia, attraversato come mai da mille contraddizioni. Ma più forte è stata la speranza che lo sviluppo del Polo Lionello, degli altri poli nel mondo, dell’intera Economia di Comunione possano contribuire al miracolo di otri pieni di beni condivisi. CHIARA LUBICH: Attualità e profezia dell’EDC Al cuore del Convegno l’intervento di Chiara Lubich ha ripercorso le tappe compiute dall’Economia di Comunione fin dalla prima idea avuta da lei in Brasile. Forte è stata l’accentuazione posta nell’affermare che Dio è stato il principale attore di quest’opera di cui sono evidenti l’attualità e il valore profetico. Ne riportiamo un breve stralcio. Sappiamo che molte sono le cause del terrorismo, ma una, la più profonda, è l’insopportabile sofferenza di fronte a un mondo mezzo povero e mezzo ricco, che ha generato e genera risentimenti covati negli animi da tempo, violenza, vendetta. Si esige più parità, più uguaglianza, più – potremmo dire noi – solidarietà, più comunione di beni. Ma i beni non si muovono da soli, non camminano da sé.Vanno mossi i cuori, vanno messi in unità, in comunione i cuori! Soltanto se si lavora ad un’opera di fraternità, di fratellanza universale, riusciremo a convincerci e a convincere ad iniziare a mettere in comune anche i beni. Ed è, grazie a Dio, ciò che ha operato ed opera, secondo la sua misura, nei propri limiti, il nostro movimento, nel quale cerchiamo sempre di vivere come fratelli e portare dovunque l’amore. Anzi noi vogliamo l’amore a base di ogni nostra attività. Come pure dell’Economia di Comunione. Perché in essa le finalità stesse dell’utile sono ispirate dall’amore, sono amore concreto. Come la parte dell’utile che serve all’azienda stessa perché viva e possa dare ancora. Come quella con cui si aiutano i bisognosi finché trovano una fonte per il proprio sostentamento. Come quella destinata a strutture per formare “uomini nuovi”, gente che sappia dare, come il Vangelo insegna. Economia di Comunione, che è sé stessa se l’amore è onnipresente. Economia di Comunione dove ci si sforza di amare i dipendenti, i clienti, i fornitori, i concorrenti; dove anche lo stato si ama, perché si osserva la legalità; e anche la natura si ama, perché ci si impegna a salvaguardarla. Dove ci si deve amare anche fra responsabili delle diverse aziende, per sostenerci, incoraggiarci e supplire a ciò che manca a qualcuno. È da tutto questo dare, da questo suo essere solo dare, da questa fraternità in atto, che il progetto dell’Economia di Comunione si può vedere adatto ai tempi, che chiedono comunione di beni.

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