Il Pkk accoglie l’appello di Öcalan a deporre le armi

Abdullah Öcalan ha rivolto un appello al Pkk, da lui fondato nel 1978: dopo aver riconosciuto che il partito “ha perso il suo significato iniziale” legato al socialismo reale, chiede ai membri di deporre le armi. Cosa c’è dietro questo appello e quale percorso di pace potrebbe derivarne?
In questa foto del 2019, sostenitori del Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK) manifestano con bandiere che raffigurano il loro leader Abdullah Ocalan Foto Ansa EPA/WAEL HAMZEH

Abdullah Öcalan, detto Apo (zio, in curdo), è stato il fondatore nel 1978 del Partito dei Lavoratori del Kurdistan, il “famigerato” Pkk bollato da Turchia, Usa, Unione europea, Nato e Iran come organizzazione terroristica. Per moltissimi curdi che vivono in Turchia, Siria, Iraq, Iran e nella grande diaspora Öcalan è invece un eroe, l’anima della mai riconosciuta nazione curda.

Condannato a morte in Turchia nel 1998, condanna commutata in ergastolo nel 2002, Öcalan ha oggi 75 anni, ed è rinchiuso dal 1999 in un carcere speciale di cui è l’unico prigioniero, nella minuscola isola di Imrali: 8 per 3 km nel Mar di Marmara, di fronte a Istanbul. È proibito avvicinarsi all’isola dal mare e perfino sorvolarla. Nonostante 26 anni di prigionia, «per gran parte dei curdi, è lo zio che incarna non solo la causa, ma la nazione curda nella sua interezza». Sono parole del curdo-francese Hamit Bozarslan, direttore della prestigiosa Ehess di Parigi.

Una nuova fase sembra essersi aperta con un improbabile intervento lanciato in ottobre da Devlet Bahçeli, leader del partito di estrema destra Mhp, alleato di Erdogan. Che tradotto significa: quanto di più anti-curdo si possa immaginare, ma anche quanto di più vicino a Erdogan e al suo partito Akp. Bahçeli aveva proposto di invitare Öcalan in Parlamento per dichiarare la fine della lotta armata e indipendentista del Pkk. Aggiungendo che il leader curdo potrebbe beneficiare della legge turca sul “diritto alla speranza” ed essere scarcerato.

Öcalan ha risposto il 25 febbraio con un appello al Pkk (trad. it. in pressenza.com del 27.02.2025), nel quale, dopo aver riconosciuto che “il Pkk ha perso il suo significato iniziale” legato al socialismo reale del secolo scorso, chiede al partito da lui fondato di deporre le armi e di sciogliersi.

Il 27 febbraio l’appello è stato reso pubblico a Istanbul dai deputati del partito Dem, espressione della sinistra turca e curda. L’annuncio è stato fatto anche in Parlamento dal co-presidente del partito, Tuncer Bakirhan, che ha chiesto al governo di accogliere l’apertura di un dialogo e passi verso la pace.

Nel suo appello, il fondatore del Pkk fa un’analisi storica dei rapporti fra curdi e turchi e auspica un passo avanti, in questi termini: “Le relazioni tra curdi e turchi, nel corso di oltre mille anni di storia, sono sempre state caratterizzate da un’alleanza basata sulla volontarietà, considerata essenziale per la sopravvivenza contro le potenze egemoniche. Negli ultimi 200 anni, la modernità capitalista ha mirato principalmente a distruggere questa alleanza […]. Oggi, la missione principale è ricostruire questa relazione storica, ormai fragile, nello spirito della fratellanza e senza escludere le credenze”.

L’altro passaggio fondamentale dell’appello di Öcalan è: «Nell’attuale clima politico, influenzato […] dagli approcci positivi delle altre forze politiche, faccio un appello per la deposizione delle armi e mi assumo la responsabilità storica di questo appello. Come farebbe volontariamente qualsiasi comunità o partito moderno la cui esistenza non sia stata abolita con la forza, convocate il vostro congresso e prendete una decisione: tutti i gruppi devono deporre le armi e il Pkk deve sciogliersi».

Il giorno dopo, in una cerimonia trasmessa dalla televisione, Erdogan ha promesso che è un dovere lavorare per arrivare a vivere in un’atmosfera inclusiva in Turchia: «Nessun individuo di questa nazione, turco e curdo, perdonerà chiunque porti il processo in una situazione di stallo con retorica e azioni ambivalenti, come è successo in passato».

La risposta del Pkk è arrivata il 1° marzo, sempre a stretto giro: il Comitato esecutivo del Pkk ha pubblicato una dichiarazione in cui si afferma fra l’altro: «Siamo d’accordo con il contenuto dell’appello del leader Öcalan così com’è, e affermiamo che rispetteremo e implementeremo i requisiti dell’appello da parte nostra. Dichiariamo un cessate il fuoco effettivo da oggi». E aggiunge: affinché il processo politico abbia successo «devono essere appropriate anche le politiche democratiche e le basi legali».

Non è detto che tutti i membri del Pkk aderiscano. Nel frattempoo ci sono tutte le premesse per cercare la strada verso un accordo fra il governo turco e il Pkk, ma le due parti non sono mai state così vicine. L’accordo riguarderebbe la Turchia, ma è evidente che le conseguenze coinvolgerebbero anche i paesi vicini: i curdi siriani del Rojava, attaccati senza sosta dai turchi, e quelli del Kurdistan iracheno, dove l’esercito turco fa continue incursioni. Anzi, si dice che ci siano già trattative in corso, soprattutto con la nuova Siria e con il Rojava curdo.

Com’è nato questo percorso di pace che arriva improvvisamente dopo quasi 50 anni di lotta armata e 40 mila morti? Percorso che Öcalan avrebbe alla fine accettato di sponsorizzare. Si dice, anzi lo dicono numerosi analisti internazionali, che la leadership turca abbia segretamente promosso questo fino ad ora inimmaginabile percorso di pace con il Pkk, attraverso la “strana” proposta del leader dell’Mhp Devlet Bahçeli e, soprattutto, in seguito ai colloqui di Erdogan con il filo-turco leader siriano Ahmad al-Shara.

Oltre al non secondario obiettivo siriano, lo scopo di Erdogan sarebbe quello di attingere al bacino elettorale curdo (i curdi turchi sono circa 25 milioni, il 20% della popolazione della Turchia) in vista delle elezioni presidenziali che potrebbero essere anticipate. Pare che Erdogan, in calo di popolarità, vorrebbe candidarsi per un terzo mandato, cosa che la Costituzione turca non gli consente. Ma con il sostegno dei partiti e dell’elettorato curdi, o almeno di una significativa parte di essi, sarebbe teoricamente possibile modificare la Costituzione e rendere legalmente accettabile il terzo mandato.

Percorso complicato, forse. E non privo di pericoli e rischi. Ma ben venga se si tratta di un cammino di pace che arriva dopo decenni di guerra.

Sostieni l’informazione libera di Città Nuova! Come? Scopri le nostre rivistei corsi di formazione agile e i nostri progetti. Insieme possiamo fare la differenza! Per informazioni: rete@cittanuova.it

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons