Il pianoforte di Liszt

Jan Jiracek von Arnim, concertista e didatta di fama internazionale, celebra il grande compositore utilizzando il suo strumento nell’ambito della fortunata rassegna L’Orecchio di Giano, a Roma

È un fenomeno, dal suono grandiosamente sonoro il pianoforte Pleyel del 1866 su cui ha suonato Franz Liszt. Lo annoto mentre “scalpita” il 31 ottobre nella sala neoclassica di Villa Lante sul Gianicolo a Roma, di una compostezza finissima. Ambiente raffinato, colori pastello, necessari a dar rilievo al concerto che vede protagonista il pianista Jan Jiracek von Arnim, concertista e didatta di fama internazionale, elegante e sereno. Ma vulcanico quando affronta la tastiera, in special modo nelle musiche di Liszt, cioè la Rapsodia Ungherese n. 13 in la min. e le Variazioni su un tema di Niccolò Paganini in la minore. Una musica-orchestra che sviscera dallo strumento ogni possibilità (quasi), perché Liszt anche quando prende spunto da lavori altrui – Paganini nel caso – li assorbe, li trasforma, li fa diventare sé. Come la Rapsodia che sembra una immensa orchestra, o meglio più di un’orchestra, un mondo. Von Arnim l’ha colto e affonda nella tastiera a piene mani con una tecnica stupenda che nel virtuosismo acceso rende giustizia ai voli funambolici della fantasia lisztiana come pure ai “salti acrobatici” della scrittura paganiniana che passa dal violino al pianoforte come da un microcosmo a un macrocosmo. E qui von Arnim si trova benissimo.

Più sfumato invece il mondo di Franz Schubert nella Klavierstuck ohne Opus in Si b. minore. Impeto certo, ma scorrevolezza melodica che riemerge di continuo come linfa vitale, perché Franz canta squisitamente la vita e allora occorrono tocchi liquidi, sonorità più accarezzate che premute, e von Arnim lo sa e ce lo dice. Come pure fa quando tratta il Rossini della vecchiaia nella Sonata Première Communion che esige tocco brillante, e si direbbe “innocente”.

Difficile trovare la misura giusta anche per un virtuoso come von Arnim, pure nella limpida Sonata in Mi bem. K 333 di Mozart, un altro di quei geni sfuggenti che dicono tutto sembrando dire parole leggere con “souplesse”. L’intelligenza di von Arnim è di non lasciarsi irretire dalla discorsività musicale, così “facile”, e cercare accenti che non siano solo sonorità potenti ma anche sfumate. Impresa non facile per chiunque.

Il risultato è una conversazione musicale di alto livello, di potenza espressiva nell’ambito della fortunata rassegna L’Orecchio di Giano, diretta da 17 anni con passione dal maestro Flavio Colusso. Applausi sinceri e convinti.

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