Il piano
Karl Wolff è un nazista di ferro fin dal 1931. È capo di stato maggiore di Himmler, che – pur nell’atmosfera di gelosie e diffidenze fra gerarchi – si fida di lui. Himmler ha un progetto segreto: divenire il successore del Führer; per questo, ha bisogno di uomini devoti.
È appena entrato in Alto Adige dal Brennero come governatore militare e capo delle SS e della polizia nell’Italia “occupata”, quando riceve una telefonata.
«Sono Himmler», è la voce metallica che parla. «Heil Hitler!», scatta Wolff. «Dovete immediatamente venire da me. Il Führer vuole parlarvi. È cosa urgente e della massima importanza. Partite subito». Wolff non perde tempo.
Il 13 settembre è nella Prussia orientale. Il luogo dove il Führer si è rifugiato, per essere più vicino al fronte orientale, è desolante: un susseguirsi inestricabile di bunker protetti da campi minati e filo spinato, in mezzo a una foresta circondata da laghi vicino a Rastenburg. I gerarchi nazisti, che non amano quel luogo asfittico e cupo, la chiamano la tana del lupo.
(…)
Wolff viene condotto attraverso un giro di corridoi dalle pareti grigie nello studio del Führer. «Ah, siete voi, Wolff». Il Führer, pallido e tirato, accoglie l’ufficiale che alza la mano nel saluto rigido: «Heil Hitler!».
Hitler lo fa accomodare su una poltrona. Wolff fa appena in tempo a dare un’occhiata all’ambiente: è spoglio, ci sono solo, appesi alla parete, il ritratto dell’imperatore Federico il Grande, e due foto, una di Eva Braun, l’“eterna fidanzata” del Führer, e l’altra di Greta Garbo.
«Ho un incarico speciale per voi, Wolff – comincia Hitler –. Siccome si tratta di qualcosa che avrà una risonanza mondiale, ho deciso di comunicarvelo personalmente. Non ne dovete parlare con nessuno, a meno che non sia io stesso a darvene il permesso. Io solo, eccetto il capo delle SS, che sa già tutto. Mi avete capito?». «Agli ordini, mein Führer!».
Hitler continua. Pesa bene ogni parola: vuole essere sicuro che l’ufficiale capisca perfettamente quello che gli sta per dire.
(…)
«A Roma c’è il Vaticano e c’è il papa. Non devono cadere nelle mani degli Alleati o subire la loro influenza. Sarebbe un grave danno per la Germania». «Certo, mein Führer». «Perciò – e qui Hitler alza il tono – c’è urgente bisogno di contromisure contro gli italiani traditori. Dovete far occupare dalle vostre truppe il Vaticano. Dovete salvare le opere d’arte, gli archivi, e preoccuparvi della salute del papa».
«In che modo, mein Führer?», chiede l’ufficiale. «Lo dovete trasportare, per la sua sicurezza – qui Hitler da un’occhiata significativa a Wolff –, al Nord. Vedremo come si svilupperanno i fatti politici e militari. Farò alloggiare Pacelli in Germania, forse in Slesia o nel Liechtenstein che è neutrale. Poi, penseremo a tutta la curia».
Un brivido freddo corre lungo la schiena al robusto ufficiale. “È una follia”, pensa. Cerca di prendere tempo. «Entro quale data sarete capace di portare a compimento la vostra missione?», domanda il Führer, fissandolo bene in volto. Wolff si controlla e mantiene un atteggiamento rilassato.
«Mein Führer – risponde con calma –, sono attualmente impegnato a creare reparti delle SS nel Sud-Tirolo. Poi, per quanto riguarda le opere d’arte e gli Archivi Vaticani, ho bisogno di trovare degli specialisti che capiscano il latino e il greco. Mi ci vogliono almeno tra le quattro e le sei settimane per dare inizio all’operazione. Forse, anche di più».
Hitler scatta in piedi: «Troppo! Accelerate tutto, tenetemi informato personalmente, ogni due settimane. Voglio prendere possesso del Vaticano adesso. Subito!», grida. «Sarà fatto, mein Führer. Ci sentiremo ogni due settimane». Il Führer lo saluta in fretta.
(…)
È già pomeriggio. Il tempo è nuvoloso. La tana del lupo è davvero un luogo grigio, scuro.
Da "La congiura di Hitler" di Mario Dal Bello (Città Nuova, 2014)