Il pericoloso scollamento tra cittadini e Parlamento

Procedono spedite (pur tra polemiche) le votazioni al Senato sulla proposta di modifica della Costituzione. Nel 2016 un referendum chiamerà i cittadini all’approvazione o alla bocciatura finale. Per una decisione consapevole, nei prossimi mesi approfondiremo i vari aspetti della proposta di legge. Iniziamo con l’intervista ad Alfonso Celotto, docente di Diritto costituzionale
Parlamento

La legge di riforma della Costituzione, che intende modificare composizione e ruolo del Senato, sta tenendo banco in Parlamento ormai da mesi e continuerà ad essere oggetto dell’attività parlamentare anche nel 2016, quando anche i cittadini saranno chiamati a esprimere il proprio parere in uno specifico referendum. Tra polemiche, valanghe di emendamenti e tentativi di compromesso, non è tuttavia sempre chiaro cosa si sta andando a modificare. Ne parliamo con il professor Alfonso Celotto, docente di Diritto costituzionale all’Università Roma Tre.

 

Professor Celotto, la riforma del Senato, con il depotenziamento di una delle Camere, rappresenta un cambiamento radicale per il nostro Paese. Al di là della riduzione del numero dei senatori e del taglio dei costi, la principale novità è l’abbandono del bicameralismo perfetto.

«Il bicameralismo perfetto è sicuramente un istituto anacronistico perché era stato creato dal costituente come “Camera di raffreddamento”, di ripensamento, affinché nessuno avesse troppa fretta nel decidere e nello scegliere e prendesse troppo potere. Ormai, invece, è diventato un elemento di farragine e di lunghezza e sicuramente può essere superato. Ovviamente per superare il bicameralismo perfetto ci sono diverse idee e bisogna capire che tipo di Senato si vuole. Si è molto discusso in questi anni se avere un Senato federale, a valle della riforma del 2001, se avere un Senato delle garanzie, cioè che serve, ad esempio, solo come Camera per le nomine, o addirittura se eliminarlo, perché potremmo anche passare ad un sistema monocamerale: un quarto degli Stati del mondo è monocamerale. In questa riforma mi pare che non ci siano le idee chiare su quale tipo di Senato si voglia, perché si mescola un Senato federale con uno delle garanzie e un Senato bicamerale e questo rischia di produrre una Camera che possa non funzionare bene».

 

La senatrice Anna Finocchiaro del Pd ha detto che “Bisogna credere in questa riforma perché è meglio una legge imperfetta che nessuna legge”. Quali sono le pecche principali della riforma?

«Io farei attenzione perché molto spesso le riforme hanno un risultato peggiore della norma originaria. Amnistia e indulto nell’articolo 79, immunità parlamentare, vedi articolo 68, titolo V della Costituzione, articoli 114 e seguenti: sono le ultime grandi riforme costituzionali italiane. Se noi pensiamo che le norme introdotte dalla riforma hanno prodotto risultati peggiori della norma originaria perché spesso sono poco pensate, poco meditate, approvate sull’onda delle emozioni, tipo l’articolo 68, io non credo che sia meglio una legge imperfetta che nessuna legge. È meglio una legge pensata bene. Poi c’è un’altra questione. La Costituzione nasce come Costituzione di tutti. Nel senso che fu approvata a grandissima maggioranza da cattolici, comunisti, socialisti, liberali… Ora la tendenza è quella che la Costituzione sia diventata di una parte, cioè che il partito di maggioranza relativa in una data epoca approvi la Costituzione. Non è colpa di questo governo, perché questo lo ha fatto nel 2001 l’allora governo di sinistra, ha provato a farlo nel 2005-2006 la Lega con Forza Italia, quando fecero la legge poi bocciata con il referendum. Queste riforme vanno pensate bene e andrebbero condivise da tutti, altrimenti si rischia di avere normative di cui ci si pente, come è successo con il titolo V, di cui oggi tutti dicono: che errore, che errore».

 

Anche perché rispetto alla formulazione originaria ci sono tanti rimaneggiamenti dovuti ai tentativi di compromesso che hanno stravolto l’idea iniziale…

«Questa è una delle grandi tendenze della nostra legislazione di questi anni. Noi siamo uno Stato pluralista in cui sono rappresentati tanti partiti, tante istanze, tanti gruppi. E quindi nel compromesso decisorio si sa un pezzetto a chiunque. Anche perché ognuno vuole portare la sua idea, ognuno vuole esserci e per questa ragione spesso troviamo leggi, in generale non solo la Costituzione, scritte in maniera complicata. Se noi prendiamo gli articoli della costituzione originaria, quelli vigenti, sono tutti di tre righe, puliti, limpidi. Quelli modificati, invece, hanno trentine di righe, sono pieni di specificazioni, che sono sia il frutto del pluralismo e del compromesso sia di quest’altra tendenza di questi anni di normare tutto, nel minimo dettaglio. Ma per quanto tu puoi avere la legge più perfetta e completa, la società produrrà sempre il fenomeno Uber o la sigaretta elettronica, che non sono normati».

 

Qualcuno teme che, con il superamento del bicameralismo perfetto, la democrazia in Italia possa risentirne. Quali saranno, secondo lei, le principali conseguenze per il Paese e come giudica, complessivamente, questa riforma?

«Secondo me c’è un grande difetto: una grave crisi di rappresentanza della nostra forma di governo, oggi. Perché? Perché questo modello – l’idea che si va a votare per dei rappresentanti che decidono, quindi la democrazia rappresentativa – nasce a metà Ottocento, quando era pensato per gli Stati liberali in cui votavano pochissime persone. I dati sono facilmente recuperabili: nel 1861 votava il due per cento della popolazione, oggi vota il 75 per cento della popolazione. La base di rappresentanza si è ampliata, ma si è creata una difficoltà nell’identificazione delle persone con i rappresentanti. Per questa ragione c’è tanto scollamento tra cittadini e Parlamento, a mio avviso. Ovviamente, questo è un problema molto più grande e molto più grave che con difficoltà recuperi con la riforma costituzionale, perché molto probabilmente lì si deve ragionare di democrazia elettronica, e-government, e-democracy e trovare nuove forme. Però secondo me è il grande malessere dell’organizzazione statale di questi anni».

 

Mi sembra di capire che questa riforma non le piace granché…

«Non mi piace granché anche se il suo scopo – il superamento del bicameralismo – è sicuramente nobile. Tuttavia, mi sembra che ci siano troppe idee insieme, che rischiano di portare ad un risultato parziale. Poi c’è questa contrapposizione, quest’acredine terribile tra le parti che, secondo me, non aiuta».

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