Il perdono di Rachel

Dopo l’assassinio di Brian, la mamma decide di non vendicarsi ma di trasformare la casa dell’omicidio in una residenza per seminaristi e religiosi e di aprire un centro per bambini in difficoltà nel nome della misericordia
Rachel Muha

Lo avevano cercato per una settimana e avevano stampato migliaia di volantini per denunciarne la scomparsa ma di Brain nessuno aveva notizia. Può un brillante ventenne universitario che ha vinto varie competizioni studentesche in algebra, latino, chimica sparire senza lasciare traccia? Poi la chiamata della polizia che risolve il mistero: Brian è stato ritrovato, ma morto. Due giovani tossicodipendenti in cerca disperata di denaro lo avevano brutalmente assassinato assieme al suo amico in una residenza fuori dal campus universitario della Franciscan University di Steubenville in Ohio.

Per Rachel Muha, l’omicidio immotivato apriva due strade: la rabbia, che nella giustizia dello stato avrebbero trovato una sua giustificazione oppure il perdono, una via inusuale e pioneristica che neppure nella sua famiglia veniva contemplata. I cugini infatti erano favorevoli alla pena di morte.

Rachel dopo mesi in cui sfuggiva la gente per non sentire l’imbarazzo e la pietà di quelli che la incrociavano e dopo un tempo totalmente consacrato al suo secondogenito che aveva tirato su da sola, perché divorziata, decide che sua strada sarà il perdono. «Mi sono chiesta il significato del perdonare e ho capito che non significa scusare chi ha fatto del male o giustificarne le buone ragioni o ancora che non si debba scontare una pena. Penso che il perdono sia non permettere alla vendetta e all’odio abbiano la meglio su chi ti ha ferito e ha spezzato il tuo cuore. Non potevo odiare chi aveva ucciso Brian perché se lo avessi fatto non andrei in Paradiso e non rivedrei più Brian».

La fede di Rachel è molto concreta e ha fatto la differenza perché appena tre mesi dopo la morte del figlio ha finanziato delle borse di studio per bambini che non potevano permettersi di frequentare scuole di livello. Nel 2005 ha inaugurato il Run the race Club che si prende cura di oltre 100 bambini, offrendogli dopo la scuola la possibilità di attività sportive, musicali e teatrali, senza dimenticare un tempo per le storie della Bibbia. Spesso i bambini cenano insieme come una grande famiglia e i compleanni sono delle vere feste soprattutto per chi pur avendocela una famiglia vive da orfano, come quel ragazzo uscito dal carcere minorile che confidava a Rachel che la cosa che più gli era mancata nella vita era «cenare insieme ed essere famiglia». Lo stesso che avevano vissuto gli assassini di Brian e per i quali Rachel ha chiesta che non venga eseguita la sentenza di condanna a morte e non perché non creda nella giustizia, ma «perché essendo figli di Dio siamo anche fratelli e non posso permettere che un mio fratello venga assassinato in risposta ad un assassinio». L’opera di Rachel non conosce sosta e anche la casa degli orrori dove hanno ritrovato il cadavere del figlio è stata da lei acquistata ed è ora una residenza per seminaristi e religiosi che nella città trascorrono un periodo di studio. «Brian avrebbe voluto fare il medico per aiutare tante persone, ora sento che il testimone è passato a me e la sua opera non è finita».

In febbraio dei ladri hanno rubato il pulmino che portava i bambini al centro.  Gli operatori erano disarmati e addolorati anche perché non c’erano soldi sufficienti per poterlo riacquistare. Due giorni dopo un benefattore ha fatto arrivare un automezzo nuovo. La sera prima in parrocchia aveva sentito la storia di Rachel e anche lui voleva dare il suo contributo alla strategia di perdono che questa madre coraggiosa ha messo in atto dal 1999.

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