Il perdono di Obama

Una provocazione: che il presidente Usa si dimetta, se vuole essere conseguente con la sua stessa richiesta di perdono per la morte di Giovanni Lo Porto e di Warren Weinstaim
Obama

 

Ieri in modo sorprendente e sconvolgente il presidente Obama ha dato l’annuncio della uccisione di due cooperanti Warren Weinstaim, statunitense, e Giovanni Lo Porto, italiano, colpiti da un drone. Cosi Obama si rivolge alle famiglie: «Come padre e come marito, posso provare a immaginare quanto stiano soffrendo le famiglie. In nome del governo degli Stati Uniti offro le più profonde scuse alle famiglie».

Dunque Obama chiede scusa, chiede perdono, per usare una parola forte non estranea alla cultura religiosa del presidente degli Stati Uniti. Il presidente rafforza questa scuse, dichiarando: «Nella mia qualità di presidente e di Comandante in capo, mi assumo la piena responsabilità per tutte le nostre azioni di controterrorismo, compresa  quella che inavvertitamente ha stroncato le vite di Warren e di Giovanni».

Un passaggio forte che avrebbe chiesto per evitare le retorica delle parole, un atto conseguente di dimissioni. Quando ci si assume la responsabilità di un omicidio, anche se sotto le forme di un’azione militare di controterrorismo, si dovrebbe essere conseguenti per garantire la limpidezza di un gesto. E’ la precondizione, per avere il perdono delle vittime e delle famiglie. Se perdonare, è perdonare l’imperdonabile, questo può accadere solo unendo alla forza delle parole, l’esemplarità del gesto. La vita di Giovanni e di Warren ha lo stesso valore di quella dei bambini che abitano tra Afghanistan e Pakistan e degli anziani di Herat e di Kabul, di Bagdad e di Erbil, di Tripoli e di Aleppo.

Si è immaginato una guerra senza soldati, sostituiti da una tecnologia spettacolare, che ci permette di uccidere senza essere uccisi, senza avere davanti il volto dell’altro. Questo non ci ha portato ad essere migliori, ma peggiori. Ricordiamo la retorica delle armi intelligenti, delle guerre umanitarie, semplicemente per giustificare la guerra nelle sue singole azioni e nell’intero suo complesso. Anche Obama ci chiama a riflettere sul fatto che «dagli attentati dell’11 settembre gli sforzi del nostro terrorismo hanno prevenuto attacchi terroristici e salvato vite innocenti sia qui in America che in altre parti del mondo».

Ma quanti innocenti come Giovanni e Warren sono stati uccisi in questi quindici anni, in cui gli Stati Uniti hanno pensato che il terrorismo si poteva vincere con il terrore. E oggi un bilancio sarebbe impietoso verso chi ha fatto della guerra la sua unica politica. Altro che extrema ratio, la guerra è oggi l’unica ratio, che viene costantemente messa sul tavolo della politica internazionale, con i tragici risultati che sono davanti ai nostri occhi. Non basta risarcire finanziariamente. C’e’ un prezzo adeguato per la vita di una persona, di un bambino, di un anziano, di una donna? Si può risarcire il dolore e il pianto di una madre, di un figlio, di una sorella? Con questo atto coraggioso, in cui chiede scusa, il presidente Obama porta il dolore di questa famiglie, mettendo in discussione la sua vita e la sua responsabilità di grande statista.

Il valore del perdono rappresenta l’unica e vera alternativa alla guerra, di cui ogni giorno contiamo le vittime spesso senza volto e in ogni continente. Una parola, il perdono, venuta dalla grande Africa. E il primo presidente afroamericano mostra di comprendere questo valore e allora è chiamato ad agire in modo coerente e coraggioso, per mostrare che non c’e’una vera alternativa alla pace, che la guerra con le sue astuzie, è sempre un tragico errore, che non costruisce, ma distrugge, che toglie la vita e non la dona. Il biblico non uccidere è l’unica politica che genera la pace.

Abbiamo messo molti aggettivi davanti alla parola guerra, per rendere credibile la guerra, giustificabile davanti alla nostra coscienza. Ma Giovanni e Warren ci mostrano che questa è una via impraticabile e impossibile. La via delle vittime è quella del perdono e il presidente degli Stati uniti la percorra fino in fondo. E cosi si inginocchi davanti alla madre di Giovanni e alla  moglie di Warren, per deporre nelle loro mani, le sue dimissioni, assumendosi la responsabilità dell’errore radicale della guerra.

 

 

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