Il perdono

Nella vita di coppia può accadere la drammatica esperienza della separazione. Per ricominciare a vivere è necessario il perdono. Ma cos’è? Quale percorso interiore presuppone? Lo spiega Angelo Alessi in Noi due. Istruzioni per una sana vita di coppia (Città Nuova, 2018)

Per poter ricominciare a vivere pienamente dopo una se­parazione è necessario arrivare alla libertà del cuore, finanche a perdonare l’altro. Ma cos’è il perdono? Per rispondere a questa domanda, cominciamo col dire cosa non è il perdono.

Perdonare non significa rinunciare a ciò che è giusto. Non si può assolvere un ex partner che continua a compor­tarsi male, poiché sarebbe una decisione autolesionista.

Non significa dimenticare ciò che è stato. Non si guari­sce da una ferita come quella dell’abbandono semplicemente depennando la voce dal dizionario, anzi, il tentativo di re­primere forzatamente i ricordi e gli stati d’animo relativi a un’esperienza così toccante non fa altro che renderli più re­sistenti. Certi eventi del passato non possono essere estinti; ciò che invece può essere trasformato è la carica emotiva di quei ricordi.

Perdonare non significa neanche negare o sminuire le responsabilità dell’altro giustificandolo, poiché è dalla verità che scaturisce la libertà del cuore; l’oltraggio e le ferite in­ferte rimangono intatti, semmai ciò che cambia saranno le ragioni per le quali si decide di rinunciare al risentimento o alla vendetta.

Perdonare non è un puro atto di volontà, ma un proces­so che matura anche grazie al sentimento, all’intelligenza o a una motivazione spirituale. Grazie a una riflessione distacca­ta, si potrà arrivare, con il tempo, a comprendere le ragioni che hanno portato l’altro ad allontanarsi, ridimensionando così la portata delle sue vere motivazioni, che magari non erano intenzionalmente dirette a incutere sofferenza.

Alcuni studi dimostrerebbero che, oltre all’intelligenza, alla volontà e al sentimento, anche la fede religiosa può fa­cilitare il processo del perdono. Il perdono, però, non può venire imposto come dovere morale, poiché l’assoluzione del colpevole dipende innanzitutto dalla libertà del cuore.

Da ultimo, vale la pena specificare che il perdono può essere dato in modo unilaterale, cioè non implicare necessa­riamente un riavvicinamento o una riappacificazione.

Perdonare significa “fare dono” e questa etimologia sot­tolinea la libertà della scelta attraverso cui il dolore non viene rigettato sull’altro o espulso, ma, con una decisione consape­vole, assimilato e fatto proprio. Si tratta di un’opera gratuita e unilaterale che, attraverso un processo di trasformazione interiore, dispone l’animo a rinunciare al rancore. Si tratta di un’opera di purificazione del proprio animo, di igiene della propria libertà interiore che consente di pacificarsi con gli in­cidenti di percorso, con gli eventi che ci hanno fatto soffrire, con la relazione tormentata che abbiamo subìto. Il perdono non è un segno di debolezza, ma la manifestazione di un co­raggio estremo attraverso cui la sofferenza non viene sminuita o restituita, ma fatta propria e assimilata per quello che è. L’esperienza dell’abbandono e del rifiuto possono essere l’occasione per una più profonda comunione con se stessi e con gli altri. Chi elabora in questo modo il perdono è capace di liberarsi del passato e riappropriarsi della speranza.

La decisione di perdonare non contribuisce solo al be­nessere psicologico della persona, ma estende i suoi effetti positivi anche allo stato fisiologico. Chi è capace di perdona­re ha, infatti, un sistema immunitario più forte e il suo appa­rato cardiocircolatorio non è sottoposto alle tensioni e pressioni che sono all’origine dello stress, come accade invece a chi rimugina costantemente risentimenti e idee di vendetta.

La persona che è rimasta concentrata su se stessa, no­nostante tutto, ha affrontato costruttivamente l’esperienza dolorosa dell’abbandono, trasformandola in un percorso nuovo. Il colpo inferto dal rifiuto affettivo non è stato un fal­limento, ma l’occasione per innalzare la soglia della resilienza che ha permesso di ridare alla vita un senso diverso.

Chi ha provato questa esperienza, sa che il dolore e la gioia non sono l’opposto l’uno dell’altra, ma due aspetti della crescita umana. L’amore che si può ancora dare rende liberi, ma ciò presuppone una misura equilibrata di amore anche verso se stessi. Dopo aver ricevuto l’umiliazione del rifiuto, la compassione e la cura di sé sono i presupposti da cui ripartire.

Attraverso l’esperienza della gratuità, le persone hanno la possibilità di abbandonare il rancore e l’offesa, perdonan­do gli altri, ma anche se stessi. È il punto più elevato della pienezza umana, il primato della gratuità sulla sofferenza.

 

Da NOI DUE. Istruzioni per una sana vita di coppia di Angelo Alessi

 

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