Il perché di una pace non sostenibile

La proposta avanzata da Obama non pone le premesse per una soluzione durevole della questione palestinese: l'opinione di Ibrahim Chamseddine, ex ministro libanese per lo sviluppo amministrativo
Ibrahim Chamseddine

Commentando il discorso del presidente americano Obama sul cammino della pace nella regione fra Israele e gli arabi – o fra Israele e i palestinesi nello specifico – riteniamo che nel suo insieme non abbia portato qualcosa di nuovo, ma piuttosto deluda le nostre speranze. Il proposito e il perseverare nella volontà di trovare una soluzione è l’idea della presenza di due Stati, uno ebraico e uno palestinese: ma diamo le nostre osservazioni che sono la base del malcontento e del non poter accettare questa proposta.

 

La soluzione che la parte americana vuole o propone si basa sull’idea israeliana della pace, fondata su un’Israele sicuro, con forze militari e notevoli capacità di combattimento e di difesa contro la possibilità di un’aggressione continua. Per questo Israele è tranquillo davanti alla proposta di Obama: la Palestina pianificata è una Palestina demilitarizzata, e questo è in contraddizione con le parole del presidente, che nello stesso paragrafo dice «Ogni Stato ha il diritto di difendersi da sé contro ogni aggressione, e Israele deve essere capace di farlo». Tuttavia non parla dello stesso diritto da parte Palestinese. Dunque la Palestina sarà una nuova creatura che si vuole comporre senza tutti gli elementi di un vero Stato, solo per “tranquillizzare” Israele riguardo alla causa palestinese e alla pressione internazionale su questo fronte.

 

Essenziale è poi la questione di Gerusalemme: è la capitale di cosa, o di chi? Di tutti e due gli Stati? Oppure di Israele soltanto? Una parte di essa sarà la capitale dello Stato palestinese? Questo non è chiaro. Anche se si costituisse uno Stato palestinese, ma Gerusalemme venisse “confiscata” da Israele con o senza protezione internazionale, non ci sarebbe una pace stabile. Gerusalemme non è una città contestata, ma una storia intera, e ha dei diritti, una religione, una dottrina: non può essere mai soltanto ebrea. Gerusalemme è anche musulmana e cristiana, e tutti hanno dei diritti in essa: togliere la sua identità musulmana e cristiana e considerarla solo ebrea o israeliana, questo lascerà la porta della guerra aperta all’infinito.

 

Altro nodo è l’argomento delle frontiere: le prospettive che presenta Obama sono le frontiere pre-belliche del 1967 come linee di partenza dei negoziati, ed è chiaro in lui che propone uno scambio di territori. Ci sono delle carte geografiche che gli esperti gli hanno preparato: ma si tratta di una proposta americana, non accettata né dagli arabi e palestinesi da un lato, né dagli israeliani dall’altro, come il capo del governo di Tel Aviv si è affrettato a mettere in chiaro. E un altro commento: ogni volta che viene annuncia un’iniziativa da parte americana, Israele risponde con la decisione di costruire nuovi insediamenti nei Territori occupati. È chiaro che in questo modo non si può arrivare alla pace e alla giustizia nel vero senso della parola.

 

Altro commento sul perché non si può accettare questa soluzione è il continuo rimandare il problema. Ogni soluzione parziale della causa palestinese, o una soluzione non giusta, non porterà ad una pace duratura per le generazioni future. La soluzione che bisogna instaurare non è proprietà di questa generazione, né una tesi temporanea legata a un governo o a una persona particolare: è come il messaggio di Cristo Signore – che la pace sia su di lui –, che è andato oltre i cittadini del suo tempo. Milioni di uomini ci credono ancora oggi, e allo stesso modo la pace che deve nascere nel paese di Cristo deve seminare una fede che le generazioni future accetteranno, altrimenti provocherà nuove guerre.

 

Nel suo commento sulla riconciliazione fra Hamas e l’Autorità palestinese, personalmente mi ha tanto deluso il fatto che l’abbia rifiutata. Immaginate il presidente della grande potenza, che nello stesso discorso in cui elogia e spera nel movimento dei popoli nella regione, si oppone al fatto che uno di questi popoli si sia riconciliato con se stesso e unito, indipendentemente della tendenza politica. L’amministrazione americana ha continuato nell’ultimo decennio a parlare di democrazia: e un percorso democratico è nato in Palestina sotto la direzione dell’Autorità palestinese. Prescindendo dalla scelta politica che abbiamo visto nel suo agire (e che io non sostengo nelle procedure), la gente ha scelto Hamas, ma gli americani e gli europei li hanno isolati. Adesso i palestinesi, sotto la pressione e la domanda della gente, si sono uniti, ma gli americani vedono quest’unità in un modo negativo, sostenendo che gli israeliani non possono negoziare con una parte che nega il loro diritto all’esistenza. Dall’altra parte come possono i palestinesi, Hamas o non Hamas, negoziare con Israele che non li riconosce come popolo? E tornando alla questione dei rifugiati palestinesi nei paesi arabi, se si costituisce uno Stato palestinese demilitarizzato, gli altri palestinesi cosa diventano? Si costituirà un altro Stato al di fuori della Palestina, in modo che ci saranno Stati palestinesi in Palestina e fuori della Palestina? Questa è una tesi non accettata, la pace giusta deve essere ragionevole, realistica e accettata da tutte le parti. Mentre una pace come la vede Israele e che la direzione americana propone, è impossibile che esista. Non è questione di giustizia divina: quello che chiediamo è la giustizia della comunità internazionale. L’inizio del problema è stata l’occupazione e solo la sua fine farà ritornare la pace, ma quello che è stato esposto ora è un progetto di pace con la permanenza dell’occupazione, il che non è possibile né logico: per questo non vedo né speranza né ottimismo nella tesi del presidente americano sulla pace.

 

Riguardo al voto per la costituzione di uno Stato Palestinese nelle Nazioni Unite a settembre, noi lo sosteniamo in quanto scelta libera dell’Onu, e credo che il mondo intero debba reagire ai risultati di questo voto con realismo e giustizia. Pensiamo che la votazione sarà a favore della costituzione di uno Stato Palestinese, e la posizione americana e del presidente Obama ci deludano: cosa c’entra la posizione americana con la scelta degli altri Paesi del mondo? Posso dire con un’espressione un po’ dura, certo, che è una posizione che contiene una parziale ipocrisia. Possiamo immaginare le Nazioni unite come una grande nazione, i cui cittadini sono dei Paesi. Questi hanno dei rappresentanti e c’è una risoluzione che bisogna votare, come succede nelle elezioni in qualunque altro Stato. Se una decisione democratica fa nascere una risoluzione che sostiene la costituzione di uno Stato Palestinese, perché ci deve essere una presa di posizione negativa in anticipo, da parte dagli Stati Uniti e da Israele sicuramente? Perché il presidente Obama giudica da ora come non buona la scelta del mondo? Lui da un lato sostiene la primavera araba, impegnando gli Stati Uniti con il loro sistema di valori e principi, dall’altro, quando i popoli vogliono esprimere il loro parere riguardo alla questione di costituire uno Stato Palestinese attraverso i loro rappresentanti all’Onu, lui prende una posizione diversa. Credo che ci sia qui una dualità nella posizione, che non è conforme al sistema americano dei valori preteso in quest’argomento.

 

Un’ultima considerazione: il principio di diritto in astratto non ha a che fare con la politica. Se gli Usa e il presidente Obama sostengono il diritto per la sola ragione che è un diritto della gente o della comunità, non devono sottoporre questo diritto a delle considerazioni politiche privati sue o di alcuni suoi alleati. Il diritto o è completo e indivisibile o non è più diritto.

 

(traduzione di Ghada Karioty)

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