Il Patto europeo su immigrazione e asilo non è un “patto”
Il Parlamento europeo sta chiudendo la sua attività con l’approvazione massiccia di norme in tema di immigrazione accumulate negli anni e che hanno determinato scontri e incontri internazionali ben noti. E noi, distratti dalle immagini e dalle voci urlanti del dibattito, non vediamo che le vittime – alla fine – sono sempre i più poveri.
Sorprende l’incapacità dell’Europa di agire in modo consequenziale rispetto alla gravità dei drammi umanitari in corso. Anzi, le scelte consequenziali esistono ma riguardano produzioni di armi, sanzioni economiche, formazione di corpi militari, sussurri di possibili venti di guerra. Ma non ci sono scelte consequenziali che esprimano compassione e pietà verso chi fugge necessariamente da guerre, violenze, dittature, oppressioni, discriminazioni, violenze di genere, crisi climatiche che stravolgono i fragili equilibri dei territori.
Non occorre scomodare i diritti umani fondamentali o le organizzazioni umanitarie per capire che chi fugge va accolto, ce lo dice la coscienza: potremmo essere noi al posto “loro”. La notizia dell’approvazione del Patto su immigrazione e asilo giunge contemporaneamente a quella della morte per affogamento di tre ragazzine afghane nell’Egeo, mentre la loro madre si è salvata (ogni giorno della sua vita lo passerà desiderando la morte).
A parte che la parola patto applicata a queste norme suona veramente male – il patto richiama ad un impegno importante per realizzare cose belle, costruttive, solidali – va detto che questo pacchetto di dieci provvedimenti ha la finalità di “rendere più sicure le frontiere dell’Europa”. Sicure nel senso che evidentemente l’Europa (quasi 450 milioni di abitanti) ha paura di qualche decina di migliaia di persone che non hanno nulla (letteralmente, spesso nemmeno le scarpe).
Non occorre entrare nei tecnicismi legislativi in questa sede ma è importante sapere che dopo il completamento del procedimento legislativo e l’entrata in vigore delle direttive e dei regolamenti approvati, sarà molto difficile entrare in Europa.
Le procedure di asilo saranno esaminate “fuori” dai confini; gli Stati che non intendono accogliere le persone secondo un piano di ridistribuzione potranno, in alternativa, dare soldi a chi ospiterà i migranti; saranno applicate procedure più veloci per esaminare le domande di asilo, respingendo prima facie quelle di chi proviene dai Paesi sicuri (il Governo ha stilato un elenco, sicuramente discutibile); i rimpatri diventeranno rapidi e certi.
Sulla questione è molto chiara la posizione del vescovo di Ferrara, Gian Carlo Perego, nonché presidente della Cemi (Commissione episcopale per le migrazioni) e della Fondazione Migrantes della Cei: «Il Patto europeo sui migranti richiedenti asilo e rifugiati, approvato al Parlamento europeo a Bruxelles, avrebbe dovuto modificare le regole di Dublino, favorire la protezione internazionale in Europa di persone in fuga da disastri ambientali, guerre, vittime di tratta e di sfruttamento, persone schiacciate dalla miseria, con un impegno solidale di tutti i Paesi membri dell’Unione europea nell’accoglienza, il ritorno alla protezione temporanea come si era visto con gli 8 milioni di migranti in fuga dall’Ucraina, un monitoraggio condiviso tra società civili e Istituzioni del mar Mediterraneo per salvare vite nel Mediterraneo. Invece l’Europa – mentre continuano le tragedie nel Mediterraneo – a maggioranza di voti si chiude in se stessa, trascura i drammi dei migranti in fuga, sostituisce la vera accoglienza con un pagamento in denaro».
Indicazioni significative in vista delle prossime elezioni europee per chi ritiene che solidarietà e pietas siano valori importanti della nostra società. Davanti a questo scenario riecheggiano i versi di una famosa canzone cantata in passato dagli italiani emigrati lontano, ma adesso la possiamo ripassare anche noi che siamo rimasti a casa: Amara terra mia, amara e bella!
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