Il parroco in canoa
«La gente nel mio paese è tropicale, è gente del caribe. La fede si vive con gioia. Con la crescita economica sono mancati i punti di riferimento, e dopo un periodo in cui abbiamo avuto molti missionari che venivano dall’Europa, da vent’anni a questa parte, sono nate tante vocazioni locali». Don Carlos Rodriguez è nato quarantuno anni fa in un piccolo paese dello stato di Panama, “La Chorrera”, che si chiama così per il vicino corso d’acqua che genera una serie di cascate. Don Carlos è sacerdote da dieci anni.
«La parrocchia dove sono cresciuto era composta da ventisette piccoli villaggi, e i missionari spagnoli che la curavano sono stati molto attenti alla parte umana, ai problemi sociali. Ogni villaggio aveva la sua piccola cappella. Ma loro non riuscivano ad arrivare a tutti, solo in quindici. Negli altri mandavano noi giovani. Eravamo un gruppo di trenta. È stata un’esperienza così bella, portare la Parola di Dio come giovani che, a diciotto anni, ho deciso di entrare in seminario».
Poi, nel 2003, il suo parroco gli propone di seguirlo in Spagna, a Madrid, dove gli offre la possibilità di frequentare l’università:«Sì, ma facendo un’esperienza particolare. Oltre a studiare, vivevo in una casa con i carcerati che avevano scontato i due terzi della loro pena e si preparavano a uscire, per reintegrarsi nella società. Tutto quello che imparavo studiando teologia poi lo dovevo mettere in pratica a casa, con loro, per essere una cellula “diversa”, come mi disse il parroco: “Loro sono abituati a risolvere i problemi litigando con violenza, ma tu dovrai testimoniare che si può vivere diversamente”».
Vivere con i carcerati è un’esperienza che segna Carlos e lo apre al mondo: «Loro venivano dalla Colombia, da Cuba, dalla Spagna, della Francia e anche dall’Italia. Vivere insieme è stato come costruire una fratellanza. Poi, l’ultimo anno, nel 2006, sono entrato nel seminario di Madrid, dove ho conseguito la specializzazione in teologia dogmatica. Quando sono tornato a Panama, ero preparato ad affrontare anche le situazioni più difficili».
Don Carlos ha un viso largo e simpatico, mi sembra un uomo semplice e concreto. Parliamo illuminati dal sole di questa primavera che stenta a diventare estate, sotto una vetrata del centro di spiritualità “Vinea Mea”, la Scuola sacerdotale del Movimento dei Focolari, che si trova nella cittadella internazionale di Loppiano, nel comune di Figline e Incisa Valdarno, in provincia di Firenze. Qui, ogni anno, sacerdoti, diaconi e seminaristi di ogni cultura e nazione, vivono una vita di comunione e ricevono una formazione unificata che mette al centro la fraternità vissuta, per imparare a viverla con i propri vescovi, con gli altri sacerdoti, con i laici delle rispettive parrocchie, con uomini e donne di ogni credo e cultura. Don Carlos è arrivato qui a settembre 2017, per ricaricarsi e riposarsi, prima di tornare nella sua “parrocchia di montagna”, come la definisce lui.
«Sono parroco nella diocesi di Colon-Kuna Yala. La mia parrocchia di “Santo Cristo de Esquipulas” è composta da sedici comunità sparse in montagna che raggiungo per lo più in barca via fiume, alcune a piedi, raramente uso l’auto, perché semplicemente non esistono vie di comunicazione. Nella canonica, quando sono arrivato (venivo da una parrocchia di città), non c’era luce, né acqua potabile, avevo con me il cellulare, che ho potuto usare solo come pila. Mancavano le cose fondamentali. È stato proprio come arrivare in un luogo in cui il tempo si era fermato».
La giornata di don Carlo comincia prestissimo, in tempo per prendere la prima barca per uno dei villaggi che sorgono lungo il rio Coclesito, alle 4 del mattino. «Sono lunghe canoe a motore molto scomode. Il viaggio per raggiungere il primo villaggio dura più di due ore, faccio in tempo a pregare non uno, non due ma tre Rosari! Quando arrivo nei villaggi poi, c’è da andare nelle scuole, dai malati, seguire i giovani e le coppie di fidanzati, supportare le suore missionarie che fanno già tanto. In genere, riesco a rientrare verso le dieci o le undici della notte. E poi, si ricomincia».
Don Carlos racconta queste cose con il sorriso, si capisce che, se tutto questo lo stanca molto fisicamente, però lo rende molto felice: «Volevo trovare l’essenziale della vita sacerdotale, per questo sono a Loppiano. Non voglio diventare solo un sacerdote che amministra i sacramenti, ma uno che crea la famiglia della comunità cristiana. Il mio impegno è stare con la comunità e “fare” insieme con le famiglie, con i giovani, con gli altri sacerdoti».
A giugno don Carlos Rodriguez tornerà a casa, nella sua parrocchia di montagna:«Rimarrò lì fino alla GMG di gennaio 2019. Poi il vescovo deciderà le nuove destinazioni per i sacerdoti. Se potrò tornare a Santo Cristo de Esquipulas sarò felice! Ma il mio sogno sarebbe poter condividere questo servizio con un altro sacerdote, per poter fare questa vita insieme».