Il Paradiso messo in scena da Nekrosius
Non intende descriverlo. Né narrativamente, né figurativamente. Perché difficile da trasporre in scena, legato com’è all’indissolubile rapporto fra lingua, verso, suono, significato e racconto. E perché rimane la parte più complessa della Divina Commedia, densa com’è di temi filosofici e teologici. Cos’è allora il Paradiso dantesco messo in scena da Eimuntas Nekrosius? “Una mia personale riflessione”, dichiara il celebre regista lituano. E, in quanto tale, frutto di un intenso lavoro creativo che ha lasciato libero spazio all’immaginazione portata sul piano non dell’astrazione – come potrebbe far pensare l’eterea materia della cantica – ma della concretezza, alimentata dalla suggestione dell’architettura predominante del teatro Olimpico di Vicenza dove lo spettacolo è stato concepito in prima mondiale.
Riducendo al minimo l’utilizzo di elementi scenici – emblematici nella sua poetica per la forza simbolica di cui sono portatori -, Nekrosius ha dovuto limitare pure l’azione per il vincolo di preservare lo spazio palladiano come un museo quale è. Ristrettezza che ne ha fatto, in qualche modo, la firma dello spettacolo con un maestro di cerimonie (o guardiano) che espone un cartello con la scritta “Museo” ponendo, ogni tanto, al protagonista il divieto di non toccare. Ecco allora una calligrafia di gesti mimici e coreografici, di sguardi e di pose, di canti e di parole (endecasillabi sparse di Dante e di Beatrice che non seguono la cronologia della cantica, qui sintetizzata) e di cose quotidiane: ad evocare, nella libera fantasia dello spettatore, mondi umani e celestiali, situazioni e sentimenti.
E sono profondamente umani e vitali i due innamorati che ci dispiegano un viaggio, anzitutto interiore, in compagnia di uomini e donne, anch’essi in semplici abiti d’oggi. Siamo tutti noi. Come ci lasciano intendere gli interpreti nello spogliarsi (simbolicamente) dei loro vestiti da lasciare per accedere nel luogo dove si entra senza orpelli. E senza oggetti: anch’essi deposti, impacchettati e consegnati allegramente o dolorosamente, quasi un rito liberatorio, sulla scena. Sono libri, cucchiai, collane delle vanità, un violino, un anello, alcune monete, orologi del tempo che passa, specchi per le proprie brame, pietre – quelle, forse, che si tirano agli altri pensando di essere noi senza peccato -, stampelle a sostegno della vecchiaia.
Entra, nel Paradiso, l’essenza della persona: ed ecco gli attori arrotolarsi a turno nella carta da imballaggio e saltare sul tavolo collocato nella cavea. Qui c’è anche un pianoforte a spargere note melodiche alternate a musiche di Schubert, alle arie di tromba di Alessandro Marcello, per cedere il suono ad una chitarra elettrica che esegue “Wish you werw here” dei Pink Floyd, anche cantata a più voci. Nel corale relazionarsi c’è un balletto di mani che sventolano e braccia che ondeggiano; ci sono tenere carezze, sorrisi, mani protettive e protese a cercare gli altri, giochi rocamboleschi, girotondi, segni tracciati con gessi, brindisi con calici d’acqua, ma anche affanni, malinconie, sospiri. Fino a giungere all’agognata visione beatifica di Dante (Rolandas Kazlas) e Beatrice (Ieva Triskauskaité), i quali, bagnati da un faro di luce, dopo un’alternanza di approcci seduti ad una sedia, attraverseranno quel ponte di fili tesi che unisce proscenio e gradinata, diventato, infine, fiume.
Accanto a sprazzi di toccante invenzione poetica altri momenti non hanno però quella potenza visionaria caratteristica pregnante del lavoro di Nekrosius. Pur essendo uno spettacolo autonomo, rispetto a Inferno e Purgatorio uniti nell’unico titolo Divina Commedia, sfuggono certi passaggi (la spada, il fodero dal quale esce della sabbia…) e altri rimandi legati, probabilmente, ai due precedenti allestimenti, che, se non ancora visti, limitano la decifrazione e la comprensione totale. Però non necessariamente indispensabili per poter immergersi in questo viaggio dantesco, profondamente umano. Ed emozionarci.
Al Teatro Olimpico di Vicenza per il 65° Ciclo di Spettacoli Classici (fino al 27/10). Direzione artistica Eimuntas Nekrosius, compagnia Meno Fortas.