Il Paradiso è per tutti
All’inizio ha fatto satira politica, quella che il pubblico più facilmente si aspetta, colpendo a destra e a sinistra: non qualunquista, ma equanime, aiutato dal fatto che entrambi i nostri fronti politici offrono materiale abbondante al ridicolo. Un dovere civico. Poi si è alzato, un po’ alla volta, sempre portando con sé il pubblico, fino al commento dell’ultimo canto del Paradiso di Dante. E gli stessi che avevano riso di gusto di Berlusconi e Bossi, di Rutelli e Cofferati, si sono trovati sollevati da terra, in un cielo sconosciuto, condotti per mano nel cuore di una poesia che Benigni ha restituito alla sua natura di contemplazione: un commento al Poeta che si è rivelato un’opera di poesia esso stesso. L’ha spiegato così come si introduce una favola a dei bambini: “Un signore ci porta in Paradiso a vedere com’è fatto Dio, e poi si torna”. E tutti gli siamo andati dietro, perché il Benigni che contempla è lo stesso che fustiga, e del quale ci fidiamo. Egli stesso ha provveduto a rassicurarci: “Non è che era un prete, Dante, era uno come noi, proprio gli faceva male ai denti, proprio uguale a noi; a volte basta il mal di denti per negare l’esistenza di Dio”. Uno come noi: a significare che il Paradiso è per tutti, e se ne può capire l’amore anche partendo dal nostro, da quello che stiamo sperimentando qui sulla Terra, ma per arrivare – l’amore trasforma – molto in alto: “Quanto gli garbavano le donne non lo potete sapere gli piacevano le donne le amava tanto, ma tutte: dalla Beatrice amata, alla su’ moglie, alla su’ mamma, a tutte le donne chi non è capace di amare tutte le donne non è capace d’amarne nemmeno una Era una cosa spettacolare, con le donne, Dante fino a cantare il canto della vergine Maria. Che cosa si può dire di questa donna? È il culmine della creazione, l’apice proprio “. Senza alcuna retorica; ma con la preoccupazione, almeno all’inizio, che nessuno si scoraggi e molli l’impresa: “È semplice, ma non facile sempre, come è semplice l’universo, come la musica di Bach, semplice ma non facilissima come una rosa”. È qui, probabilmente, che in molti abbiamo sobbalzato sulla poltrona, di fronte ad una affermazione così abissale ed inquietante: l’avviso che Benigni fa sul serio. E che non vuole “fare uno spettacolo”, ma vivere, col suo pubblico, l’esperienza che può valere una vita: “Se non succede niente, non succede niente. Però posso assicurarvi di una cosa: che se succede una cosina dentro di voi, se si muove una scintilla, un sussulto siete Dante, siete voi i poeti, siete Dio. Perché Dante è Dio mentre scrive. Si può parlare di Dio solo essendo Dio, sennò non se ne può parlare La bellezza, la poesia non sta in chi scrive, ma sta – il sublime – nell’orecchio di chi ascolta, dentro di voi sta Dio; non solo dentro a Dante che l’ha scritta, ma dentro di voi; lui l’ha scritta, ma se voi non la sentite, non ha scritto niente”. E così è cominciato un viaggio collettivo attraverso il Paradiso – quale Dante lo ha visto – che ha avuto Maria come protagonista. E grazie a Benigni ci siamo tutti sentiti lì con Dante, abbagliato di luce, e tutti lì a implorare Maria che ci facesse vedere Dio: un’ora che, da sola, giustifica l’esistenza della televisione. Molte cose ha scritto Dante, e molte ne ha dette Benigni, con un intuito e una logica “soprannaturali”: quanto sarebbe stato facile esagerare, lasciarsi prendere la mano, dire cose teologicamente sbagliate; e invece no: la poesia, se è veramente tale, senza preoccuparsi della teologia, è anche vera. La chiave di tutto sta nel vissuto: “Ci dobbiamo credere. Io credo fermamente che Dante sia stato in Inferno, Purgatorio e Paradiso: c’è proprio stato, ha visto tutto quello che descrive. Ma non perché Dio c’è, ma perché Dio ci sia. Dopo la Divina Commedia c’è di più Dio, c’è proprio, lo si sente, lo si vede. È proprio la bellezza che ci porta vicino a Dio “. Un’idea che mette la voglia di riuscire anche noi a realizzare opere tali da far dire che, dopo, Dio c’è di più. Un pensiero ardito, quello di Dante, com’è ardita la mistica che per sua natura rimane sempre, per così dire, sopra le righe della ragione, non negandola ma superandola; sopra le righe, d’accordo: ma vale la pena di vivere sotto? Ed ecco allora che la verità si impone e d’improvviso appare del tutto logico che Dio sia Trinità, che Maria sia stata fatta da Dio, per amore, più grande di Dio stesso. Tutto logico, certo: perché non ci avevo pensato prima? E a sentirlo così vivo, come lo ha reso Benigni, se ne misura la distanza da tante prediche domenicali che pronunciano le stesse parole senza riuscire veramente a dirle. Un video, quello di Benigni, da usare per la formazione nei seminari. La chiave, appunto, sta nel “vissuto”, nell’avere, cioè, vissuto ciò di cui si parla. E allora, realmente, lo si dice, perché la parola è viva, e chi non vive non sa parlare. E poi la parola può morire di nuovo, se chi l’ascolta non la “sente”. È la logica della parola, che vive solo nel rapporto. Benigni ha ringraziato Dante, per ciò che ha vissuto e che gli ha permesso di dirci ciò che ci ha detto: “Questo viaggio Dante lo ha fatto per noi”. Noi ringraziamo Benigni, per lo stesso motivo. È infatti riuscito a far vivere dentro di noi un testo che per lo più, quando lo incontriamo a scuola, subiamo senza intendere: si capisce meglio come un altro maledetto toscano, Giovanni Boccaccio, abbia trascorso i suoi ultimi anni commentando la Commedia e chiamandola, lui, “Divina “. Ma per far vivere un testo bisogna recepirlo, fare il vuoto davanti alle sue parole. E non è un procedimento artificiale: è la vita che ti svuota, altrimenti non riusciresti ad accogliere le parole. Ogni contenuto presuppone un vuoto, ogni luce un buio. È la vita che fa; e intuiamo, grosso modo, quel che successe a Dante. Rimane, irrisolta, un’altra questione: che cosa è successo a Benigni?