Il paradiso del colore
Cicladi: l'isola di Sifnos, cioè l'isola dell'oro che ora difetta ad Atene.
Il paradiso del colore. È Sifnos, una delle Cicladi meno conosciute ma tra le più affascinanti, dove il bianco e l’azzurro si legano per affinità elettive. Mediterrano, il film premiato con l’Oscar, rese celebre l’isola di Santorini. Già erano mete turistiche d’eccezione Naxos e Paros. Pochi invece conoscono Sifnos: nelle sue strade – non più di una trentina di chilometri di asfalto e altrettanti di polvere – le auto targate Germania, Italia o Paesi Bassi sono rarissime. Quasi esclusivamente sono i greci a frequentare le spiagge di questa piccola isola incantevole, compreso l’attuale primo ministro ellenico, va detto.
Scendendo dall’Epiro verso Atene, avevo fatto una sosta obbligata a Delfi. Nel suo nuovissimo museo avevo ammirato alcuni manufatti di oreficeria, conosciuti come “tesoro di Sifnos”. L’isola, infatti, inviava al più celebre oracolo dell’antichità greca un decimo della produzione di oro estratte dalle miniere dell’isola, una sfera del diametro che talvolta raggiungeva il metro. E con quell’oro si pagavano i migliori artisti ed artigiani dell’epoca (si era nel sesto-quinto secolo prima di Cristo) per scolpire opere di ispirazione bellica o monili votivi.
Ma il colore dell’oro oggi non si trova più a Sifnos, un nome italianizzato talvolta in Sifni. Le miniere sono ormai da secoli esaurite, e solo da pochi decenni una popolazione più stabile ha riportato una vita attiva nell’isola. Per secoli poche famiglie vi hanno trascorso l’anno intero, conducendo una vita assai grama. Ancor oggi, vagando nel nord dell’isola che non conosce l’asfalto, si scorgono vecchi contadini (mi verrebbe da definirli antichi) che macinano il grano aiutandosi con la forza di un asino. E le vestigia dell’antico splendore si riducono ormai a due o tre necropoli issate sui cocuzzoli dell’interno.
Quel che caratterizza l’isola – oltre naturalmente alle incantevoli cale, simili però a quelle delle altre Cicladi – sono invece le chiese e i monasteri ortodossi che punteggiano l’intera superficie dell’isola. Dicono siano 365, per una fede radicata nella popolazione che, al di là delle inevitabili superstizioni, è ancora sincera. Sono costruzioni in gran parte private, di un candore straordinario, talvolta ornate da cupole azzurre e da altri minimi fregi colorati. In ogni caso sono situate nei posti più incantevoli dell’isola: sopra una insenatura, su uno scoglio, sul cucuzzolo di una montagna nuda, in un avvallamento tinto di verde ulivo. All’interno, le più o meno antiche iconostasi testimoniano il prestigio e la fede della famiglia proprietaria.
A Sifnos d’estate si nuota baciati dal sole e cullati dalle onde leggere, ci si nutre seduti ai banchi delle piccole taverne che offrono sfiziosi piatti freschi e marini, si riposa a ogni ora. Ma a Sifnos d’estate ci si può avventurare per le strade e i sentieri polverosi solo all’alba e al tramonto. È in quelle ore che meglio si apprezza la straordinaria bellezza dei luoghi e l’immaginazione della sua gente, che si è espressa nei secoli di questo millennio solo nelle infinite variazioni delle sue chiese. Non ce n’è una uguale all’altra, pur nella loro modestia o nell’apparente somiglianza. Una metafora del popolo cristiano, in fondo.
In un’ascesa mattutina – intorno alle sei – raggiungo Aghia Tria, a picco sul capoluogo dell’isola. Per raggiungerla la famiglia proprietaria della cappella ha realizzato un’interminabile scalinata di pietra e terra, che conta la bellezza di 729 gradini: non uno è uguale all’altro, non uno risparmia al viandante il sudore dell’ascesa. Raggiungo la sommità dopo quasi mezz’ora di cammino, arrivando alla sorpresa di una vista mozzafiato sull’azzurro incantato del golfo. Un solo gradino, in discesa a volo d’uccello, basterebbe per raggiungerlo.
(dal blog di Michele Zanzucchi)