Il papa nella favela

I gesti di Francesco non lasciano indifferenti. In visita alla "comunità" di Varginha, tra le più povere di Rio de Janeiro
Papa nella favela in Brasile

Il papa continua la sua visita a Rio de Janeiro per la Giornata mondiale della gioventù 2013. Anche se le incertezze dell'organizzazione non cessano di creare qualche inquietudine, anche se la pioggia continua a cadere incessante e fredda – molti gli interventi per problemi alle vie respiratorie, dicono dall'infermeria -, mentre la marea di ragazzi e ragazze, in massima parte dell'America Latina, continua a portare il vento caldo della gioia e della serenità in una città un po' disarmata da una folla così insolita e collaborativa.

Il gesto più importante della giornata odierna del papa, all'indomani della visita ad Aparecida e ad un ospedale per il recupero dei drogati – non serve la liberalizzazione, ha affermato il papa, spiazzando qualche media brasiliano che si aspettava una sua diversa posizione – è stata la visita ad una favela (che qui si chiamano oggi "comunità"). In una città dove si alternano quartieri dal lusso insolente e barrio dove mancano i servizi basilari per una vita che abbia un minimo di dignità, il pontefice ha riaffermato la centralità per il cristiano dell'aiuto a chi non ha il necessario.

La favela prescelta è quella di Varginha, nel più ampio quartiere di Manguinhas. Abitanti festanti, in un'attesa fuori dal comune, con la presenza tra l'altro di Frei Hans del progetto da lui lanciato per il recupero di tanti dalla droga, la Fazenda Esperanca, e col gruppo musicale Gen Rosso, da due mesi in azione nelle favelas e nei centri di recupero un po' in tutto il Brasile.

All'entrata nella favela, fondata 73 anni fa e luogo ben noto per i traffici di droga, il papa ha voluto scendere alla sua auto per raggiungere a piedi la cappella e pregare assieme al parroco. Poi di nuovo a piedi fino al campo sportivo, dove Francesco ha centrato il discorso sull'amicizia. Ed ha toccato al cuore la popolazione presente, composta in gran parte da evangelici, ma oggi tutti cristiani attorno al vescovo di Roma.

«Mi ha toccato il cuore – ha detto un ragazzetto -, e ho scoperto che ho un grande amico a Roma. Mi ha anche stretto la mano, lui così grande. L'ho invitato nella mia casa, ma la polizia lo ha portato via… Sono sicuro che verrà di nuovo qui». E un animatore pastorale della parrocchia: «Il papa ha saputo toccarli con i suoi gesti più che con le parole, e in questo è stato geniale. Questa gente ha bisogno di essere amata e basta».

«Nessuno sia insensibile alla disuguaglianza» ha detto Francesco, riscuotendo l'applauso più gradito. Scherzando, ma non troppo, ha detto che avrebbe voluto bussare a tutte le porte della favela, per prendere assieme un cafesinho, «ma non una cachasa», cioè un bicchierino di alcol locale. Il papa ha poi rivolto un appello «a chi possiede più risorse, alle autorità pubbliche e a tutti gli uomini di buona volontà impegnati per la giustizia sociale: non stancatevi di lavorare per un mondo più giusto e solidale! La cultura dell'egoismo e dell'individualismo non costruisce un mondo più abitabile come invece fa la cultura della solidarietà».

(Tra parentesi, sembra che il comitato organizzativo si sia convinto a trasferire la veglia di sabato e la messa di domenica nella spiaggia di Copacabana, perché il luogo prescelto, Guaratiba, a 70 chilometri dal centro, non è che un grande pantano dopo le piogge di questi giorni. Un po' di saggezza, necessaria anche perché i pellegrini sarebbero stati costretti a una marcia di trasferimento di tre ore a piedi, dopo aver viaggiato per altrettante ore in bus…).

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