Il papa nel Nord Est
Nella sua visita Benedetto XVI incontra la città di Aquileia, culla del cristianesimo nel Triveneto e Venezia, sede del Patriarca
Domenica alle 20 e 45 il papa è rientrato all’aeroporto di Ciampino dopo un’intensa visita ad Aquileia e Venezia. È stato l’ultimo dei mezzi di trasporto usato dopo la motovedetta militare, la gondola, il motoscafo, l’elicottero ed un’inconsueta papa mobile elettrica usata per non danneggiare la pavimentazione di Piazza San Marco.
Nonostante il rischio di una secolarizzazione diffusa nel Triveneto, da sempre terra ricca di profonde radici cristiane, il viaggio del papa è stata seguito, nei due giorni di visita, da circa 500 mila persone secondo i dati del Comune e della Curia patriarcale di Venezia.
Nel suo arrivo ad Aquileia, sabato 7, il papa ne ha ricordato gli antichi lustri, nona città dell’Impero romano, la quarta d’Italia e culla del cristianesimo del Triveneto da cui sono sorte nei secoli 57 diocesi. «Tenete sempre vive – ha incoraggiato il papa – , con coraggio, la fede e le opere delle vostre origini» per evidenziare nella Chiesa e nella società «l’amore fraterno, l’armonia gioiosa e pluriforme della testimonianza ecclesiale».
E nel suo discorso ai delegati del Convegno ecclesiale il papa ha sottolineato come « la missione del Nord-est del futuro si apre anche ai territori circostanti e a quelli che, per diverse ragioni, entrano in contatto con essi». E, aggiunge: «Siete chiamati a farlo prima di tutto con le opere dell’amore e le scelte di vita in favore delle persone concrete, a partire da quelle più deboli, fragili, indifese, non autosufficienti, come i poveri, gli anziani, i malati, i disabili, quelle che san Paolo chiama le parti più deboli del corpo ecclesiale».
Triveneto che, ormai, non è solo crocevia tra Est e Ovest, ma anche tra Nord e Sud, formando una società con un accentuato pluralismo culturale e religioso. In questo contesto il papa invita i cristiani a riproporre la bellezza dell’avvenimento di Gesù «ad ogni uomo e ad ogni donna, in un rapporto franco e sincero con i non praticanti, con i non credenti e con i credenti di altre religioni. Siete chiamati a vivere con quell’atteggiamento carico di fede che viene descritto dalla Lettera a Diogneto: non rinnegate nulla del Vangelo in cui credete, ma state in mezzo agli altri uomini con simpatia, comunicando nel vostro stesso stile di vita quell’umanesimo che affonda le sue radici nel Cristianesimo, tesi a costruire insieme a tutti gli uomini di buona volontà una “città” più umana, più giusta e solidale».
La Messa celebrata sull’ampio parco di San Giuliano di Mestre, consueta cornice di concerti e spettacoli, ha aperto la seconda e ultima giornata della visita del papa davanti ad una folla di 350 mila persone. L’enorme patrimonio spirituale e l’eredità del cristianesimo «rischia – ha detto il papa nell’omelia – di svuotarsi di svuotarsi dei suoi contenuti più profondi, rischia di diventare un orizzonte che solo superficialmente, e negli aspetti piuttosto sociali e culturali, abbracci la vita». Un cristianesimo, insomma che non illumina l’esistenza e la mente.
«Il problema del male – continua Benedetto XVI –, del dolore e della sofferenza, il problema dell’ingiustizia e della sopraffazione, la paura degli altri, degli estranei e dei lontani che giungono nelle nostre terre e sembrano attentare a ciò che noi siamo, portano i cristiani di oggi a dire con tristezza: noi speravamo che il Signore ci liberasse dal male, dal dolore, dalla sofferenza, dalla paura, dall’ingiustizia».
Occorre allora ripercorrere le vie del Risorto che «ci aiuti ad interpretare gli avvenimenti della vita e dare loro un senso (…) per guardare tutto e tutti con gli occhi di Dio, nella luce del suo amore. Rimanere con Gesù che è rimasto con noi, assimilare il suo stile di vita donata, scegliere con lui la logica della comunione tra di noi, della solidarietà e della condivisione. L’Eucaristia è la massima espressione del dono che Gesù fa di se stesso ed è un invito costante a vivere la nostra esistenza nella logica eucaristica, come un dono a Dio e agli altri». Passaggi che sono stati letti dai commentatori come un appello ad accogliere gli immigrati senza aver eccessiva paura.
Al termine della Messa, prima della recita del Regina Cæli, Benedetto XVI ha affidato a Maria «le fatiche apostoliche dei sacerdoti, la testimonianza dei religiosi e delle religiose, la quotidiana opera dei genitori nella prima trasmissione della fede ai loro figli, giovani, anziani, ammalati, l’opera dei numerosi laici che collaborano attivamente alla nuova evangelizzazione, nelle parrocchie, nelle associazioni, come l’Azione Cattolica, così radicata e presente in queste terre, nei movimenti, che, con la varietà dei loro carismi e della loro azione, sono un segno della ricchezza del tessuto ecclesiale – penso a realtà come il Movimento dei Focolari, Comunione e Liberazione o il Cammino Neocatecumenale».
Nel pomeriggio della domenica Benedetto XVI ha partecipato all’Assemblea per la chiusura della visita pastorale diocesana nella basilica di San Marco a Venezia, lanciando un forte invito ai veneziani per superare gli ostacoli dell’individualismo, del relativismo. «Non abbiate paura – ha concluso – non abbiate paura di andare controcorrente per incontrare Gesù, di puntare verso l’alto per incrociare il suo sguardo».
Prima di rientrare a Roma in Vaticano il papa ha incontrato rappresentanti del mondo della cultura, dell’arte e dell’economia di Venezia e del suo territorio. Nel suo discorso il papa ha spiegato il significato di tre metafore suggestive legate alla città: l’acqua, la salute e la Serenissima, che altro non sarebbe se non il simbolo della città eterna, della Gerusalemme celeste.
L’essere città d’acqua ha richiamata nella mente del papa l’immagine della società liquida, cioè mutevole ed inconsistente, prospettata dal sociologo Baumann, mentre Benedetto XVI si auspica una «Venezia non come città “liquida”, ma come città “della vita e della bellezza».
La metafora della salute rievoca l’omonima Basilica dedicata alla Madonna che salvò la città da un’epidemia della peste nel 1630. Anche se «la salute – ha indicato il pontefice – è una realtà onnicomprensiva, integrale: va dallo “stare bene” che ci permette di vivere serenamente una giornata di studio e di lavoro, o di vacanza, fino alla salus animae, da cui dipende il nostro destino eterno. Dio si prende cura di tutto ciò, senza escludere nulla. Si prende cura della nostra salute in senso pieno».
Infine, la terza parola: “Serenissima”, il nome della Repubblica Veneta. «Alla città “serenissima”– ha concluso il papa –si giunge per la via del Vangelo, che è la via della carità nella verità, ben sapendo, come ci ricorda ancora il Concilio, che non bisogna “camminare sulla strada della carità solamente nelle grandi cose, bensì e soprattutto nelle circostanze ordinarie della vita” e che sull’esempio di Cristo “è necessario anche portare la croce; quella che dalla carne e dal mondo viene messa sulle spalle di quanti cercano la pace e la giustizia”». Con un saluto agli ebrei e ai musulmani presenti a Venezia il papa si è congedato dalla città.