Il papa in preghiera davanti ai resti dell’orrore nazista
Quando papa Francesco è andato a Yad Vashem (Ente nazionale per la Memoria dell'Olocausto), a Gerusalemme, ha detto: "A ricordo dei sei milioni di ebrei vittime della Shoah, rimane come simbolo di dove può arrivare la malvagità dell'uomo quando, fomentata da false ideologie, dimentica la dignità fondamentale di ogni persona, la quale merita rispetto assoluto, qualunque sia il popolo a cui appartiene e la religione che professa. Prego Dio che non accada mai più tale crimine, di cui sono stati vittime anche tanti cristiani e altri”.
Lo stesso papa chiede al Signore di ascoltare la preghiera dell’umanità: "Salvaci da questa mostruosità, Signore onnipotente. Un'anima nell'angoscia grida verso di te. Ascolta Signore, abbi pietà, abbiamo peccato contro di te… Dacci la grazia di vergognarci di ciò che come uomini siamo stati capaci, di vergognarci di questa massima idolatria, di avere disprezzato e distrutto la nostra carne, quella che tu hai impastato nel fango, quella che tu vivificasti con il tuo alito di vita". Questo ha detto Francesco a Gerusalemme, ma Auschwitz e Birkenau sono più di Gerusalemme e così, nella sua visita al luogo simbolo della Shoah, egli è andato oltre la parola.
Quando lo sterminio si compie là dove Dio ha taciuto, il papa consegna questo silenzio di Dio. Ad Auschwitz e Birkenau Francesco nel silenzio confessa il mistero del Dio agonizzante nel luogo irripetibile dell’abisso dell'umano. E il versetto del salmo "Chi è come te fra gli dei" si rovescia in "Chi e come te tra i muti”. Ecco il Dio che diventa muto di fronte alla violenza del mondo.
Papa Francesco ci ha consegnato questo silenzio, indicibile con le nostre povere e inadeguate parole che spesso imprigionano Dio nei nostri disegni. In ginocchio papa Francesco chiede perdono ad Auschwitz perché nel tempo dell'abisso anche molti cristiani si sono voltati dall'altra parte. A Birkenau nel dicembre del 1944, mentre si celebravano le liturgie natalizie, i forni crematori funzionavano al ritmo di migliaia di morti al giorno. Scrive Elie Wiesel ne La Notte la storia di un giovane ragazzo appeso al patibolo che diventa il volto stesso di Dio impiccato a quel legno.
Dio agonizza sui patiboli da Birkenau fino alla piccola parrocchia di Rouen dove ha agonizzato padre Jacques. Giuseppe Dossetti così conclude la sua riflessione sulla Shoah: mi si consenta di concludere con una parola di Wiesel. Congedando i suoi personaggi, i morti evocati, dice il silenzio più della parola, rimane la sostanza e il segno di ciò che fu il loro universo e, come la parola, il silenzio si impone e chiede di essere trasmesso. Papa Francesco ci ha consegnato il silenzio per consegnare il perdono, per chiedere il perdono delle vittime e di Dio, che si è fatto vittima con loro.