Il papa, il Concilio e Lefebvre
Insieme allo svizzero George Cottier, novantenne cardinale pro-teologo della Casa pontificia, agli italiani Luigi Bettazzi, 89 anni, già vescovo di Ivrea, Giovanni Canestri, 93 anni, arcivescovo emerito di Genova, Roberto Tucci, cardinale novantunenne già direttore generale della Radio vaticana, e pochi altri, papa Ratzinger è tra i pochi testimoni che hanno partecipato al Concilio Vaticano II. E si sente da come ne parla e da come lo ricorda. In una sua recente visita al centro dei missionari Verbiti a Nemi, Benedetto XVI ha evocato un episodio del Concilio vissuto 47 anni prima. «Ne avevo un ricordo bellissimo, forse il più bel ricordo di tutto il Concilio». Qui, infatti, il giovane teologo Ratzinger aveva partecipato dal 29 marzo al 3 aprile del 1965, a una Commissione conciliare di studio sulle missioni.
E ora da papa lo rammenta quasi sintetizzando il significato stesso della Chiesa come esperienza trinitaria. «E così è nato in quei giorni un decreto bello e buono, quasi accettato unanimemente da tutti i padri conciliari, e per me è anche un complemento molto buono della Lumen Gentium, perché vi troviamo un’ecclesiologia trinitaria, che parte soprattutto dall’idea classica del bonum diffusivum sui, il bene che ha la necessità in sé di comunicarsi, di darsi: non può stare in se stesso, la cosa buona, la bontà stessa essenzialmente è communicatio. E questo già appare nel mistero trinitario, all’interno di Dio, e si diffonde nella storia della salvezza e nella nostra necessità di dare ad altri il bene che abbiamo ricevuto».
Nella sua visita lampo di domenica 15 luglio a Frascati Benedetto XVI è tornato di nuovo a citare i documenti del Concilio con l’invito a leggerli insieme al Catechismo della Chiesa cattolica per riscoprire la bellezza di essere cristiani, «di essere Chiesa, di vivere il grande “noi” che Gesù ha formato intorno a sé per evangelizzare il mondo: il “noi” della Chiesa, mai chiuso, ma sempre aperto e proteso all’annuncio del Vangelo».
Le citazioni sul Concilio avvengono proprio nei giorni in cui è in dirittura d’arrivo il Capitolo generale della Fraternità di San Pio X, cioè dei lefebvriani, che sono chiamati a decidere se accettare la proposta del Vaticano di tornare in comunione con Roma, fornendo precisi impegni. E la questione dell’accettazione del Concilio come parte integrante del cammino della Chiesa è una delle condizioni essenziali. Per i lefebvriani, infatti, la secolarizzazione e la crisi della fede sono da attribuire in gran parte proprio al Concilio Vaticano II. Papa Ratzinger in questi anni ha fatto tutto il possibile per ricucire lo scisma, «ma i lefebvriani ‒ scrive Andrea Tornielli su La Stampa ‒ non possono chiedere al papa di essere esentati dall’accettare il magistero conciliare nelle parti che a loro giudizio non rispecchiano la tradizione della Chiesa».
E l’invito del papa a leggere i documenti del Concilio e il catechismo non è stato casuale; la frase non era nel testo del discorso preparato, è stata improvvisata per dire, insomma, che il Concilio non è stato un incidente di percorso nella storia della Chiesa. Ne è parte integrante.